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John Locke non mi sembra Nichi Vendola… ovvero “perché ad un bambino non importa”

Creato il 25 novembre 2013 da Abattoir

di Filippo Di Liberto

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Quando veniamo al mondo siamo tabula rasa, non abbiamo quindi alcun giudizio sui fatti del mondo e, conseguentemente, alcun pregiudizio.
Qualcuno potrebbe obiettare, giustamente, ma questo principio certamente non lo teorizzo io, bensì John Locke (Wrington, 29 agosto 1632 – Oates, 28 ottobre 1704) che proprio in uno dei suoi maggiori scritti, Saggio sull’intelletto umano, rigetta l’idea dell’innatismo, sostenuta da Cartesio e dai razionalisti, sostenendo il principio secondo il quale la mente di un neonato è una blank slate, che noi tradurremo, grossomodo, come tabula rasa e che tutte le idee che man mano vengono immagazzinate nella mente, del neonato prima e del bambino in seguito, sono derivate dall’esperienza.

La premessa sugli studi di Locke, sebbene così superficiale, è fondamentale per riuscire a capire con quanta “naturalezza” ci muoviamo in questa vita. Il termine “naturale” designa, principalmente, ciò che segue la natura, seguendone i dettami sino ad arrivare all’accezione di “genuinità, non alterato, non artificiale, spontaneo, non studiato”. Quindi, se fossimo dei pedanti bacchettoni che seguono pedissequamente le prescrizioni, dovremmo assolutamente ritenere contro natura l’essere umano moderno, con tutte le sue sovrastrutture per nulla naturali, genuine o spontanee; dovremmo considerare contro natura anche l’aggeggio tecnologico dal quale sto scrivendo questo pezzo; sarebbe contro natura anche il linguaggio, perché a rigor di logica il linguaggio naturale dell’uomo, in quanto animale, dovrebbe essere costituito da mugugni, ruggiti, gesti primitivi, oppure no? Ancora, e poi mi fermo, dovremmo considerare contro natura le nostre stesse case, perché dovremmo vivere nelle caverne e in spelonche isolate e buie.

Ovviamente è tutto perfettamente naturale perché fa parte dell’uomo ed essendo l’uomo un essere naturale, anche il suo comportamento lo è. Tutto è naturale a partire dalla “socialità umana”, questo istinto di consociarsi ad altri essere umani sino a spingersi, addirittura, all’accoppiamento per esprimere il proprio amore verso un’altra persona oppure, più naturalmente, per soddisfare un proprio bisogno fisiologico.
A proposito di Amore, cosa c’è di più naturale del sentimento che più di tutti rappresenta l’umanità, in quanto soci di una stessa comunità? Amore che si manifesta in svariati modi e in mille sfaccettature: c’è quello tra due persone che si amano vicendevolmente, quello non corrisposto, quello di un genitore verso i propri figli, quello che è per sempre finché dura, quello che sembra amore ma se ci ragioni un po’ alla fine non lo era mica tanto, c’è persino l’amore della vittima verso il proprio carnefice. L’amore è un sentimento talmente trasversale che non riconosce colore, religione o sesso: è proprio un bel sentimento, perché dobbiamo costringerci a rovinarlo sovrastrutturandolo?!
Il genitore può essere uomo oppure donna e il figlio può essere sia maschietto che femminuccia, eppure un genitore ama incondizionatamente il proprio figlio, almeno così dovrebbe essere; una persona che non prova ad avvicinarsi ad Amore o che non vuole che Amore entri nella vita di ognuno, ebbene, è contro natura, perché Amore è natura. Riuscireste ad immaginare che ci sono persone del genere al mondo? Eppure ce ne sono e aumentano persino; ci sono persone che vogliono che una madre non abbia cura del proprio figlio soltanto perché la genitrice è omosessuale e convive con la propria compagna, vi rendete conto? Queste persone, per portare avanti la propria tesi, si appoggiano su fantomatiche ricerche fatte da psicologi da strapazzo che attesterebbero l’instabilità psicologia delle povere creature costrette a vivere senza una completa esperienza genitoriale adeguatamente fornita da un uomo, il padre, e una donna, la madre. Ma dico io, è mai possibile un simile atteggiamento?


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