di Chiara Daino
John Lydon come Laurence Olivier – Il passaporto giallo del punk
«Sono stata punk prima di te,
sono stata più cattiva…
Io suonavo l’Heavy Metal quando tu
eri chiuso nell’asilo»…
E Dama sorride, ghigno da stregatta, quando rùgghia piano a qualche giovane gallus gallus domesticus – l’Enrico. Avviluppata a Ruggeri e ai Decibel, trapassati gli anni e modificati i titoli [dopo lustri vissuti da Contessa, Dama non è più la stessa], il nuovo copione prevede il solito ruolo: serata tra coetanei, ti te ricordi?, un altro cuba e l’ennesimo bipede implume che pretende sfidarla. Fosse anche a Cirulla! Mai una serata che non preveda interrogazione: «ah sì? Scrivi? Hai letto questo? E quest’altro? Recitavi? E l’imperdibile pellicola che devono ancora girare l’hai vista? Eh? Eh? Eh? Sei Metallara? Ora vediamo… Lo conosci il settantaduesimo singolo dei miei compagni di banco?»… Sic!
Laurence Olivier (da Wikipedia)
Ringraziando Ronnie James, talvolta, Dama riesce anche a godere grazie a confronti che accrescono l’Anima senza stremarla. E curiosità catturò il timpano torturato: «rubò da Laurence Olivier!»
«Non lo sapevo»
«Ti giuro, Dama!»
«Spiazzante e voluttuoso come aneddoto»
«Eh! Eh! Eh!»
«Perfetto, Roberto! Mi scriveresti articolo per PostPopuli?»
«Scusa?»
«Grazie, grazie, grazie!»
«Maledetta…»
A Sid & Nancy preferisco Shakespeare
[di Roberto Veirana, awka Keller]
Luglio 1977 – InternoEsterno
Promovideo “Pretty Vacant” Sex Pistols
http://youtu.be/R6GDdKrQ8EI
[Video moderato. Canzone moderata. Apparentemente].
Dopo le abbuffate di anarchiche illusioni, regine sbeffeggiate, insulti in diretta pomeridiana, accoltellamenti da parte di fanatici monarchici, arresti fluviali, giubilei infangati… Insomma dopo tutto quel carrozzone che verrà storicizzato come Punk, i quattro teppisti ed il loro PIGmalione (quel McLaren senza talento ma dal fiuto eccezionale) sembrano concedersi un breve respiro prima della corsa finale che li condurrà a San Francisco un anno dopo.
Paul Cook suona la batteria come ha sempre fatto. Male. Infatti non farà mai più nulla. Grazie a Dio. Steve Jones, in barba a tutti i dettami etici che ha sbandierato sino a quel momento, imbraccia la sua chitarra fallocentrica come se, novello Jimmy Hendrix, dovesse ingraziarsi tutte le vagine dentate della Perfida Albione. Sono più le smorfie che gli disarticolano la faccia che gli accordi che imbrocca. Dopo dimostrerà la sua vera indole vivendo di ville hollywoodiane, autostrade di polvere bianca, producendo e suonicchiando senza mai lasciare un segno vero in nulla.
Sid Vicious (da Wikipedia)
Poi c’è Sid Vicious. Lemmy lo aveva avvertito quando gli dava lezioni di basso: «ragazzo, la musica non è la tua strada, lascia stare»… Ma Sid non è interessato alla musica o alla cultura, o alla rivolta. No! Lui indossa il basso perché gli sta bene; indossa il chiodo perché gli sta bene; indossa le cicatrici e il lucchetto perché gli stanno bene… Manichino perfetto da essere idolatrato da tutte le presenti e future vedove in cerca di sogni romantici, amori tossici e carne senza concetto. Povero Sid, non aveva abbastanza talento neppure per fallire.
E poi.
E poi c’è John Lydon. No non lo chiamerò Johnny Rotten, lo chiamerò John Lydon. Perché? Perché lui è quello che ci crede più di tutti in quello che fa, ma non in quello che stanno facendo. Lui sale sul palco, set, platea e porta avanti la sua guerra. Contro l’Istituzione, fisica e mentale. Contro i suoi stessi fan. «Siate voi stessi!» grida ai ragazzi venuti ai concerti, ragazzi che si vestono come lui. Sputare a un pubblico del genere è una logica conseguenza, nevvero?
Lydon non è su quel palco come gli altri. Non si muove come una rockstar o un ragazzo sguaiato dall’adrenalina e dalle anfetamine. I suoi gesti sono studiati: sono partitura di nervi e d’organi, le immobilità sono al massimo della furia della musica, gli sguardi taglienti e tagliati aprono intere fasce di pubblico grazie a quello scattare sincopato di testa e braccia.
Lydon lo sa che qualunque pubblico ha bisogno di Personaggi da mitizzare. E il “Mito” ha una forza, una profondità, una presa sulla massa, superiori anche al talento individuale. Puoi essere il più grande cantante, scrittore di testi, ribelle, ma se non riuscirai a tenerteli tutti in una mano non saranno mai tuoi. In questo risiede la sostanziale differenza tra McLaren e Lydon: il primo vendeva pentole alla gente, il secondo convinceva la gente a sfasciarle.
Ma il Mito affonda la sua forza nella Cultura e nel Sapere. E Lydon anche se è nato povero, non ha mai smesso di studiare e imparare:
«Ho deciso di fare il delinquente
E odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età»
[Riccardo III, William Shakespeare].
John Lydon (da Wikipedia)
E sarà proprio l’incontro con il Bardo, trasposto in cinema da Laurence Olivier nell’anno di grazia 1955, ad essere per Lydon fatale. Quando da bambino vedrà quella versione e quell’interpretazione di Sir Olivier, quando inizierà a imitarlo nei gesti e nei movimenti – pensando, nella furia di potenza bambina, che quei gesti che ha visto compiere, se li ricompirà – gli daranno la stessa forza, la stessa grandezza e lo stesso potere. E se ne ricorderà quando adolescente ribelle, ma lucido e determinato, dovrà dare un corpo a quella musica e a quelle parole che ha scritto, ma che devono anche essere interpretate. Ovvio che (nel pieno della temperie del punk) se lui avesse rivelato questo segreto, sarebbe stato disconosciuto. Ma come? L’antichrist Johnny Rotten ha letto e visto e amato il Riccardo III?
SACRILEGIO, SACRILEGIO; SACRILEGIO!
Sarebbe stato mandato al patibolo come traditore. Ma appena la bolla (e la balla) del punk rock si fu svaporata, quindi già nel 1978, lui iniziò a svelare questo come altri segreti. Orgogliosamente. L’antichrist leggeva e molto. Ascoltava musica che nulla aveva a che vedere con quella che la gente e i suoi ierofanti si aspettavano. E lo ribadirà sempre più spesso, anche nella sua autobiografia.
E allora sul palco della loro ultima esibizione storica a San Francisco, mentre gli altri tre e il manager cercavano di mantenere in vita una carcassa di cavallo ormai morente nel tentativo di spolpare lo spolpabile, Lydon decise – da uomo di teatro quale era – di assestare il colpo finale e di far calare il sipario. Chiudendo il concerto con No Fun degli Stooges, cantandola rannicchiato a terra come se gridasse tutta la sua rabbia e la sua disillusione più a se stesso che al pubblico o per il pubblico. E timbrato il cartellino, salutò canzonando tutti gli astanti, i suoi compagni d’avventura, i tirapiedi e le case discografiche con quel «Ah Ah Ah! Ever get the feeling you’ve been cheated? Good night!».
Poi verranno i PIL, le reunion alimentari, le celebrazioni, le scomparse, i ritorni, le pubblicità del burro, il Grande Fratello inglese… Ma il segreto di Lydon che lo ha reso Lydon è solo uno: aver studiato Shakespeare, amato Laurence Olivier e aver imparato da questi.
Quindi, cari crestocrinuti/e d’oggi, lasciate perdere quel buffoncello di Sid e andate a leggervi il Macbeth se volete del vero nichilismo.
Parola di Keller