“I terribili segreti di Maxwell Sim”, col quale è tornato all’altezza dei suoi lavori migliori, è la storia di un uomo di quarantotto anni ritratto in un periodo particolarmente difficile della sua vita. Il divorzio, i cattivi rapporti col padre, l’incapacità di comunicare con la sua unica figlia, lo pongono di fronte a una verità abissale che ha un unico nome: solitudine. Una solitudine accentuata dall’illusione di far parte di una comunità di persone, i suoi settantaquattro amici su Facebook, con le quali però non può condividere i suoi problemi. Non avendo più niente da perdere, Maxwell Sim decide di accettare una particolare opportunità di lavoro, un viaggio da Londra alle isole Shetland per pubblicizzare una nuova marca di spazzolini ecocompatibili.
«È un uomo che non riesce a instaurare nessun rapporto di intimità con gli altri esseri umani», racconta Coe, «un uomo che si trova più a suo agio a parlare con un navigatore satellitare che con una persona in carne e ossa. Un tipo totalmente ordinario, un antieroe».
Un antagonista ai tempi dei social-network, verrebbe da dire.
«Credo che cose come Facebook, i programmi di messaggistica, le chat, facciano sentire più acutamente la solitudine. Affidare la propria socialità a questi mezzi è un po’ prendersi in giro».
Il motivo della sua attenzione per questo tipo di figure è semplice.
«Tutti siamo interessanti. Personalmente mi capita di vedere spesso persone come Maxwell Sim, uomini solitari che mangiano in autogrill, o leggono nella sala d’aspetto di una aeroporto. A me piace leggere storie di persone normali, le persone straordinarie non ci dicono nulla della vita reale».
Non trova nulla di straordinario neppure nel recente cambio di guardia al numero 10 di Downing Street?
«Continuerò a scrivere anche nell’era Cameron, così come ho fatto ai tempi di Margaret Thatcher e di Tony Blair. La realtà è sempre affascinante, non fa differenza il partito al potere. Queste, nei miei libri, sono cose destinate a rimanere sullo sfondo. D’altra parte la letteratura serve a far pensare le persone in modo libero, e il potere guarda sempre con sospetto alla libertà di pensiero delle persone. Per questo ritengo che la scrittura sia sempre politica, anche l’opera di un autore per bambini lo è».
E a proposito della letteratura rivolta ai più piccoli, ragione principale del suo appuntamento a Cagliari, rivela: «A 22 anni scrissi un libro per ragazzi, ma non l’ho mai pubblicato perché l’ho sempre trovato un lavoro poco originale, troppo influenzato da modelli letterari ben definiti. Perfino mia figlia che ha 12 anni una volta ha provato a leggerlo, ma dopo un po’ si è stancata e l’ha abbandonato». L’autoironia poi lascia il posto all’annuncio dei suoi progetti futuri. «Nonostante questo precedente non mi sono ancora dato per vinto. Voglio scrivere un libro per i bambini, anche se l’idea un po’ mi spaventa. Per scrivere per i bambini ci vuole allo stesso tempo profondità e leggerezza, due qualità molto difficili da mettere insieme per uno scrittore».
ANDREA POMELLA