Ju-on: Rancore (di Takashi Shimizu, 2003)

Creato il 28 marzo 2013 da Frank_romantico @Combinazione_C

Le saghe horror sono spesso vere e proprie miniere d'oro per l'industria cinematografica. Nuove, come Paranormal Activity e Saw, o più vecchiotte, come Nightmare, Halloween o Venerdì 13. Magari cominciano con prodotti di valore ma poi tendono a divenire giocattoli utili solo a far cassa. Perché la saga è caratterizzata dall'elemento seriale, che tanto appassiona lo spettatore, e ha più tempo per poter entrare a far parte dell'immaginario collettivo. Diventa cult e non neccessita di particolare fantasia. La cosa vale tanto per quelle occidentali quanto per quelle orientali, anche se quest'ultime arrivano con più difficoltà qui da noi, magari dopo uno o più remake. 
Tra le saghe j-horror più famose e conosciute c'è sicuramente quella di Ju-on, ideata da Takashi Shimizu che ne ha scritto e diretto i primi quattro episodi, i primi due diretti al mercato televisivo, gli altri a quello cinematografico. Ed è sul terzo film della serie (2003) che voglio concentrare la mia attenzione, in primo luogo perché è stato questo ad attirare l'attenzione dei media americani (che ne hanno realizzato un orribile remake con Sarah Michelle Gellar nel 2004, sempre diretto da Shimizu), in secondo luogo perché passa dall'essere una piccola produzione a basso costo a diventare un prodotto realizzato per far breccia in un mercato più ampio, anche internazionale.
Da quando la giovane Kayako è stata uccisa dal marito geloso assieme al figlio Toshio, una maledizione aleggia nella casa luogo del duplice omicidio e colpisce chiunquevi entri in contatto propagandosi come un virus.

Ju-on: Rancore è a tutti gli effetti un sequel del primissimo e quasi omonimo episodio. Con questo condivide una struttura a capitoli (ogni capitolo prende il nome del protagonista dello stesso), ma Ju-on: Rancore non segue un andamento lineare della storia, caratterizzato com'è da continui salti temporali. Un modo come un altro per cercar di prendere in contropiede lo spettatore, confondendolo o costringendolo a tenere sempre alta la guardia e la soglia d'attenzione. Scelta intelligente per una classica storia di fantasmi (giapponesi) sulla carta ripetitiva perché basata sulle continue apparizioni e sparizioni (dei fantasmi e delle loro vittime). Continue ma spaventose: il piccolo Toshio (Yuya Ozeki) e la vendicativa Kayako (Takako Fuj) sono mostruose entità che non lasciano scampo ai malcapitati a cui appaiono, seguendoli ovunquecon l'unico scopo di intrappolarli in un non-luogo dove sembra vivano con l'unico scopo di perpetuare la loro maledizione. Le stesse apparizioni sono anticipate da strani e inquetanti rumori o dal silenzio più assordante, come un requiem suonato in onore delle loro vittime. 
Certo, alcune scelte stilitiche richiamano un certo tipo di tradizione orrorifica basata sugli sbalzi di volume e su colpi di scena visivi, ma non sono sostenute da un ritmo frenetico o da uno stile videoclipparo: il film si sviluppa con estrema lentezza trascinando fino allo sfinimento emotivo un'atmosfera malsana e a tratti insostenibile. L'inquietudine sollevata da Ju-on: Rancore è sottile e laconica, una vera e propria condanna a morte a cui non è possibile sottrarsi, tanto per i personaggi quanto per lo spettatore. Ed è anche per questo che la pellicola riesce lì dove produzioni ben più pregiate dal punto di vista artistico hanno fallito (e falliscono) clamorosamente: fare paura. Ovviamente se si apprezza o si è abituato ad un certo tipo di storie e ad un determinato modo di raccontarle. Il finale soprattutto, senza vere e proprie spiegazioni ma, soprattutto, senza speranza è un colpo basso che ammicca a tanto cinema apocalittico, nichilista ma allo stesso tempo aperto ad eventuali sviluppi. Sviluppi che sono stati sfruttati fino a rendere Ju-on l'ennesimo franchising svuotato della leggerezza iniziale che lo contraddistingueva. Ma si sa, le cose di questi tempi vanno sempre così.


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