Julia Carta processata per stregoneria

Creato il 28 gennaio 2014 da Alessioscalas

Julia Carta, originaria di Mores viveva a Siligo. La sua vicenda ricostruita da Tomasino Pinna dell’Università di Sassari. Processata per ben due volte dall’Inquisizione.

Storia esemplare quella di Julia Carta. Storia vera.
La storia di una strega.
Julia Casu Masia Porcu, conosciuta come Julia Carta, fu processata per ben due volte dal tribunale dell’Inquisizione in un arco di tempo che va dall’autunno del 1596 fino al 1606. Per ben due volte Julia scampò al rogo anche se nel secondo processo, intentatole come relapsa e cioè recidiva, il fuoco la sfiorò molto da vicino.
L’inquistore de Arguello chiedeva per lei una pena anch’essa esemplare. Per l’Inquisizione, operante in Sardegna già dal 1492, Julia era una strega. Una strega luterana che esercitava senza soluzione di continuità, nel villaggio e persino dentro il carcere sassarese dove fu rinchiusa, il mestiere di hechizera.
E cioè magarcha, maghiaglia, in una parola seppur non nominata nei verbali del processo, bruja, brussa.
Est una brussa si diceva fino a non molto tempo fa per indicare una donna di malaffare, perduta. Una strega appunto. Da bruciare.

Il processo contro la trentacinquenne Julia Carta, nativa di Mores e trapiantata a Siligo, viene riproposto integralmente in un libro bello e interessante di Tomasino Pinna che insegna Storia delle religioni all’Università di Sassari. (Storia di una strega. L’Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta, Sassari, Edes, 2000, 477 pagine, euro 23,24, collana Nostoi).
Un libro che per limpidezza di scrittura e per i molteplici piani di lettura meriterebbe maggiore circolazione.

Dicevamo storia esemplare.
Nella vicenda in cui fu coinvolta Julia Carta rappresenta insieme se stessa ma anche il villaggio, Siligo, che pure impersonificato dai suoi abitanti, gente dello stesso vicinato, la consegna all’Inquisizione. Tutto parte dalla denuncia del parroco di Siligo, Baltassar Serra y Manca, che è anche commissario dell’Inquisizione. Baltassar indaga e viene a sapere in confessione di quanto fa Julia. Lo viene a sapere da Barbara de Sogos, Jagomina Zidda, Jagomina Enna, Joana Pinta, Joana Seque Malizia. E altre. E altri.
Beneficiarie e no di pungas, rezettas, affumentos, berbos, fortilesas e hechisos, malefici, operati da Julia. La stessa Julia che va sostenendo che i peccati, veri e presunti, non tutti e non sempre devono essere detti in confessione.
Basta, per liberarsi la coscienza, fare un buco nel terreno e poi ricoprirlo una volta detti. Oppure, ancora più semplice, coprirsi con il lenzuolo e autoconfessarsi. Pensate voi all’effetto dirompente di questa diceria in un villaggio povero e stremato da molti cattivi eventi nella Sardegna del cinque-seicento, in piena dominazione spagnola, con la religione cattolica che è a tutti gli effetti il punto di partenza e di arrivo.

Elemento che tutto comprende e a cui tutto deve essere rapportato.
La vita e la morte. La religione cattolica che l’Inquisizione e i suoi riti rappresenta e impone più come terrore che come liberazione. Riti pubblici a cui verrà condannata la strega: l’autodafé, l’obbligo di indossare il sambenito come segno di condanna e di espiazione.
Tutto in nome della Verità.
Una Verità con la V maiuscola, quella del potere temporale della
Chiesa, che taglia e mette a tacere quella con la v minuscola, cioè la verità del villaggio di cui pure Julia è espressione rilevante.
Julia donna senza scrittura, analfabeta, povera, figlia di un alvenil, muratore e moglie di un labrador, un contadino, gente umile.
Eppure capace, Julia, di fare l’indovina e la guaritrice, arti apprese dalla nonna, condivise con altre donne del vicinato, rafforzate dall’esercizio e dalla conoscenza di gitani, zingari che entrano in questo orizzonte. Tutto l’operare di Julia è fatto gratuitamente e, questa la sua radicata convinzione, a fin di bene. Povera lo sarà sempre. Julia è madre di sette figli, “tutti morti eccetto l’ultimo”, Juan Antonio, che porterà con sé in carcere. E poi Julia confessa infine all’inquisitore – ne ha conosciuti diversi – di avere avuto rapporti di vario genere, tra veglia e sonno, con il demonio.
Tentata anche sessualmente mentre il marito, Costantino Nuvole, le dormiva accanto.


Julia ha proprio le physique du role da strega. Strega luterana.
Strega e luterana coincidono. Sono parole che hanno lo stesso significato. Né poteva essere altrimenti.
Siamo in piena Controriforma e pur arrivata con qualche ritardo rispetto alla data ufficiale di creazione, il 1478, la Suprema Inquisición compie i suoi nefasti anche in Sardegna. Inizialmente fu a Cagliari. Poi, proprio per contrastare con più efficacia il luteranesimo, “l’infiltrazione di riformati provenienti dalla vicina Corsica e dalla Provenza”, passò a Sassari dove eresse a sua sede il Castello aragonese.
Qui dopo l’arresto fu condotta e imprigionata Julia.
Ritualmente le furono fatte le tre moniciones che la invitavano a liberare la coscienza e dire la verità e sempre ritualmente le furono contestate dall’avvocato fiscale le accuse di stregoneria.
Per ben tre volte nell’arco di un anno, tra il 1596 e il 1597, nel primo processo. Restia ad ammettere la proprie colpe a Julia fu minacciata la tortura. Portata dentro la cámara del tormento, legata, davanti agli strumenti del dolore cedette. Ammise e si pentì. Confessò nuove hechizerias (ma anche soprusi subiti) perfino dentro il carcere. Ma forse fingeva. La condanna rispetto all’attesa del rogo fu lieve. Solo tre anni.

A patto che non ricadesse nell’errore.
Dove invece ricadde. Se è vero che la troviamo ancora davanti all’inquisitore, sempre con l’accusa di essere strega, in un nuovo processo tra il 1604-1606.
Ancora una nominazione di lei in un documento del 1614 e poi la definitiva uscita di scena. C’è da supporre che nonostante tutto non sia stata bruciata, che sia salvata.
Quella di Julia, avverte Tomasino Pinna, è una storia forse come tante.
L’ordito del suo lavoro di ricerca nell’Archivio Histórico Nacional di Madrid e di ricostruzione in questo libro (ci sono gli atti del processo trascritti in spagnolo con traduzione italiana a fronte) serve a fare luce e insieme mettere ordine. I fatti sono narrati nella loro successione cronologica e poi messi a confronto con l’orizzonte simbolico del villaggio che Julia rappresenta.
Un villaggio per dire di molti altri, come molti altri conflittuale con il potere di cui l’Inquisizione è massima incarnazione. Suprema appunto.
Racconto simbolico, di taglio antropologico, ma anche racconto dove tutto è documentato e oggettivamente descritto. Nessuna finzione da parte del ricercatore-ricompositore del processo. Di modo che l’esautoramento della comunità cui Julia appartenne ci possa essere riconsegnato nella sua reale portata. Avverte ancora Tomasino Pinna che la storia di Julia Carta non è unica. Altre streghe furono inquisite. Alcune (molte, poche, quante in Sardegna?) furono davvero bruciate, rese brujas, brussas. Il fatto che la storia non abbia né registrato né trasmesso i loro nomi sta ancora a dire di quanto e quale scarto esista tra Verità e verità.

Natalino Piras


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