Il Gujarat è uno degli Stati più tradizionalisti dell’India, ma se da un lato gli abitanti sembrano molto interessati a preservare la loro cultura, dall’altro non sembra esserci alcuna sensibilità verso il patrimonio artistico e i monumenti. Gran parte degli edifici storici versa in uno stato pietoso, alcuni sembrano davvero in attesa del crollo definitivo per riposare in pace. E non stiamo parlando di una domus di Pompei o di un antico tempio Greco, che dopo 2000 anni di gloriosa esistenza potrebbero anche permettersi qualche crollo, ma di edifici che spesso non hanno più di 100 anni, e che fino all’Indipendenza dell’India erano ancora in ottimo stato. La penisola Saurashtra era in passato una delle zone più ricche del Paese e i moltissimi Principati che la costituivano riuscirono a restare indipendenti anche durante il dominio Britannico. Sono molti quindi i resti di quell’epoca: palazzi, templi, moschee, forti, pozzi… Ma quasi tutti ormai condannati ad una fine ingloriosa. Ho visto palazzi usati come discariche, mausolei usati come latrine, edifici storici vari occupati da poveri o adibiti a stalle. Tutti soffocati da migliaia di costruzioni orrende, spesso anch’esse già fatiscenti malgrado abbiano solo pochi decenni.
Ma per il viaggiatore di passaggio queste atmosfere decadenti possono avere un certo fascino. Non ci devi vivere, quindi puoi guardare la città senza doverla criticare per queste varie brutture, apprezzandone la decadenza e l’originalità.
La prima di queste città sul mio itinerario è Junagadh, che si trova nella zona meridionale della penisola tra Somnath e Rajkot. Anche qui ho difficoltà nel trovare un alloggio economico, e solo dopo un lungo giro riesco a trovare una stanza in una bettolaccia frequentata da Musulmani barbuti. Nel dormitorio di fronte alla mia stanza ci sono due Afgani e un rappresentante di farmaci del Bihar. Quest’ultimo vuole chiacchierare e parte con le classiche domande: in genere racconto balle, perché gli Indiani in realtà quando ti chiedono queste cose vogliono che tu gli racconti il clichè dell’occidentale, sposato, due figli, medico, ingegnere o architetto, ricco e felice. Ma stavolta invece gli racconto una storia più simile a quella vera: sono un mezzo vagabondo, non sono sposato, non ho un lavoro fisso, viaggio per 6 mesi all’anno. Ovviamente il tizio protesta, dicendo che non si può vivere così, che non ha senso. A quel punto lo mollo e vado a farmi una doccia ( col secchio ) e poi un giro in città.
Basta una camminata nel centro per capire che questa era in passato una città molto bella, ma ci vuole molta fantasia visto che praticamente tutto ciò che c’era di bello sta letteralmente cadendo a pezzi. In ogni caso secondo me vale comunque la pena fermarsi per un paio di giorni, sia per l’atmosfera, che per la gente simpatica e anche per qualche monumento bizzarro. Tra questi ce ne sono un paio molto interessanti: mi ha colpito ad esempio il mausoleo Mahabat Maqbara, costruito in uno stile indo-islamico abbastanza strano che non saprei definire, non avevo mai visto nulla di simile. Nella piazza adiacente i bambini giocano a cricket, ogni tanto rompono qualche vetro. C’è spazzatura ovunque e nel retro c’è un sottoscala usato dai locali come latrina. Vicino c’è una moschea, un collegio e una zona fortificata con un portale e una torre con orologio, occupata da mendicanti e poveri, mucche e capre. Mi siedo in un chai shop gestito da un vecchio con turbante bianco e sorseggiando il tè dal piattino, come un vero Gujarati, cerco di immaginare come sarebbe un posto simile in Europa: una strada centrale in ciottolato, i turisti, le gelaterie e i caffè, i monumenti restaurati, una grande fontana e vasi con fiori colorati. E magari anche dei tram e artisti di strada nelle piazze.
Un’altra cosa che mi ha colpito, anche se non li definirei dei veri e propri monumenti, sono i due magnifici baolis ( pozzi ) all’interno della fortezza ( Uperkot Fort ). Bellissimi entrambi, il più antico non è stato datato con certezza ma pare sia il primo esempio di questo tipo di pozzi, che poi si diffusero in tutta la regione desertica del Nord Ovest dell’India. Inutile dire che oggi quell’acqua non si potrebbe più bere perché sono pieni di spazzatura. Questo forte fu costruito attorno al quarto secolo, anche se gran parte della costruzione visibile oggi è medievale. La sua storia è affascinante, fu assediato molte volte e fu teatro di sanguinose battaglie tra Hindu e Musulmani. Oltre ai pozzi c’è una discreta moschea e alcune grotte buddiste vagamente simili a quelle di Ajanta ed Ellora.
Tra le altre cose interessanti della città c’è la Girnar Hill, una collina sacra simile a quella di Palitana e gli Ashokan Edits, le leggi del famoso imperatore Ashoka che si convertì al buddismo, scolpiti su grandi massi attorno al 250 a.C.
Più a nord c’è Jamnagar, un’altra città terribilmente decadente e sporca, però più ricca di Junagadh. Ciò che mi colpisce di più però non sono le “rovine” degli edifici storici ma l’impressionante numero di mendicanti, moltissimi anche per gli standard delle città indiane. C’è un tempio famoso per un guinness dei primati ( il Tempio di Bala Hanuman, dove c’è in corso il canto ininterrotto del mantra “Sri Ram, Jai Ram, Jai Jai Ram” dal 1964 ) e fuori c’è tantissima gente che chiede l’elemosina. Camminando per la città noto che molte di queste persone vivono per strada: se per noi occidentali sarebbe una sconfitta personale e una cosa non accettabile per la società, qui è una cosa abbastanza normale e nessuno si scompone più di tanto. In più qui nel Gujarat ci sono molti tribali che vivono o hanno vissuto in passato una vita nomade o seminomade, vagamente simili ai nostri zingari, che si possono adattare facilmente ad una vita del genere nelle strade di una città.
Anche Jamnagar, con i suoi grandi palazzi restaurati, le splendide case tradizionali baroccheggianti ridipinte con colori accesi, ripulita da spazzatura e dai mendicanti ( non cacciati ovviamente, ma aiutati in qualche modo ), potrebbe essere una gran bella città: c’è un grande lago artificiale con un palazzo al centro ( purtroppo chiuso ) e tanti uccelli; una “old town” con case colorate, un vivacissimo mercato e un paio di splendidi templi Jain; elefanti e carretti trainati da cammelli girano per la città come se fossero normali mezzi di trasporto.
Una cosa molto positiva che ho trovato in questa città è la pacifica convivenza tra i vari gruppi religiosi, una cosa non sempre scontata in India. Durante i miei giorni a Jamnagar erano in corso i festeggiamenti per il Mawlid, l’anniversario della nascita del Profeta Maometto, e tutta la città era in festa: c’erano bancarelle con grandi pentoloni di cibo gratis, musica e danze. Partecipano tutti, anche i non Musulmani, le donne indù indossano il loro saree migliore e sfoggiano il solito trucco pesante.
Dhrangadhra, meno famosa delle altre due, era anch’essa un piccolo Principato fortificato ai margini del Piccolo Deserto del Kutch ( Little Rann of Kutch ). E’ una città gradevole e vivace, con tanta gente simpatica e un grande mercato fornito di ogni ben di Dio. All’interno delle mura ci sono ancora molte case tradizionali e il grande palazzo del principe che oggi funge da scuola e da ospedale. Si capisce subito che qui i viaggiatori stranieri sono una rarità, d’altronde questa città non è citata nelle guide e gli unici che passano da queste parti sono turisti indiani in gita verso il Rann, dove si possono vedere i famosi asini selvatici endemici ( Indian Wild Ass ) di questo deserto. Anch’io avevo una mezza idea di andarci, più per il paesaggio che per gli asini, ma non sono riuscito a trovare un’offerta abbordabile dai tassisti, quindi alla fine ho rinunciato. In ogni caso se si arriva dal Kutch si passa attraverso il deserto e c’è la possibilità di godere in parte della bellezza di questi straordinari luoghi incontaminati. Ci sono molte saline, anche se il deserto non è bianco come quello del Great Rann più a Nord.
A Dhrangadhra ci sono solo un paio di hotel, ne trovo subito uno dignitoso gestito da un ragazzino che non solo non mi fa storie ma mi accetta con entusiasmo e in più ha pure il wi-fi, che non vedevo in un albergo da un mese, quando avevo lasciato il Rajasthan ( dove invece ormai ce l’hanno anche le bettole da 3/4 euro a notte ). Non c’è molto da fare ( andrò anche vedermi Jai Ho, il nuovo film di Salman Khan, nel bellissimo fatiscente cinema rosa di fronte all’hotel ), ma mi fermo comunque 3 giorni: ho deciso di cambiare il mio itinerario e quindi di prendermela comoda, prima di fare un lungo giro tra il Sud del Gujarat e il Maharastra.