Just a perfect day (VI)

Da Bartel
Hiram chiude gli occhi nella luce che cade benigna. La lama amara assaggia il suo sangue. L'architetto sente l'odore metallico del sangue e ripensa al mare della fenicia e ai sogni di bambino, alle braccia del padre che non ha conosciuto. L'Altissimo. il Dio giusto e solare, era divenuto suo padre e la sua volontà la missione del piccolo fenicio, l'eredità da conservare gelosamente ed accrescere per le generazioni future di figli e padri. Ora l'Altissimo gli chiede silenzio, per non rivelare al male ciò che è riservato al cuore degli uomini veri, quelli che ogni giorno costruiscono un mondo migliore. Ora l'Altissimo forse gli chiede di morire. Hiram sorride e apre gli occhi. E' stata una buona vita la sua. E un ringraziamento profondo sgorga dal suo cuore come acqua dalla roccia, e inonda la sala interna del Tempio, scorre sulle sue pareti, attraversa le sue porte e i fori attraverso cui le stelle sacre guardano gli uomini, inonda ogni anfratto e come un suono muto attraversa vibrando ogni pietra, ogni interstizio e allaga lo spiazzo antistante il tempio. Gli uomini che lavorano avvertono qualcosa nell'aria, una elettricità dolorosa che diviene cascata sulle scale e finalmente sommerge Gerusalemme. E' la voce di un uomo giusto che sta per morire senza più paura. E' la preghiera di ogni uomo che torna alla sua origine. E' uno dei pilastri della terra, una delle colonne della grande costruzione dell'universo. Boaz, il figlio di Hiram osserva gli operai fermarsi uno ad uno, sospesi nel loro lavoro, con un' ascia o un martello sollevati a mezz'aria. una trave in equilibrio, un mattone tra le mani. Poi anch'egli avverte quella vibrazione nel cuore che gli toglie il respiro. Qualcosa accade nel Tempio. Qualcosa di grave. Le stanze del Tempio diventano una enorme cassa di risonanza per un movimento dello spirito che diviene vibrazione, onda dolorosa e contagia ogni cuore che sa ascoltare. Boaz vorrebbe muoversi ma esita, non è sicuro di provare ciò che il suo cuore gli sussurra. E' impossibile sentire ciò che sente. Gli occhi del giovane maestro vagano in giro alla ricerca di un gesto, un comando condiviso, uno sguardo di intesa. Solo un'ombra si muove al limite estremo della scena. Il piccolo Ephraim, il portatore d'acqua, si sta liberando della sua giara e comincia a correre verso la porta del Tempio. Come i granelli di sabbia in una clessidra, al primo granello che precipita fa subito seguito il secondo e poi tutti gli altri stretti nel collo di vetro, cosi dietro Ephraim corre Boaz e tutti gli altri operai che scorrono rallentando tra le colonne del Tempio chiamati all'interno da ciò che è muto e che non avevano mai potuto o saputo ascoltare prima.

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