Con il decimo trionfo in Coppa Italia, la Juventus si cuce sul petto la stella d’argento e Allegri emula Lippi: Scudetto e Tim Cup al primo anno sulla panchina bianconera.
“Audentes fortuna iuvat”: la fortuna aiuta chi osa. Mai come in questa stagione il calcio ha dimostrato che Virgilio aveva l’occhio lungo. Si pensi alla promozione in Serie A di Carpi e Frosinone, che fino a pochi mesi fa si pensava avrebbero faticato perfino per conquistarsi la salvezza. Ma soprattutto, si pensi alla Juve, a questa Juve, che a settembre si era affacciata alla nuova stagione privata del proprio condottiero, con alle spalle lo psicodramma che aveva accompagnato il passaggio di consegne da Conte ad Allegri, tecnico che proprio dalla Juve si fece soffiare uno Scudetto pur con una rosa molto più blasonata. Persino il mercato estivo era stato messo in discussione: Morata era un’incognita. Oggi, tutto è alle spalle.
Il trionfo e la nuova rivincita di Allegri
Mercoledì sera i bianconeri hanno conquistato la decima Coppa Italia della loro storia, consacrandosi come prima squadra italiana capace di cucirsi sul petto la stella d’argento. Un trionfo che corona un’annata straordinaria, dopo lo Scudetto (4º consecutivo), ma soprattutto, la finale di Champions dopo ben 12 anni. Anche all’Olimpico, nel match contro la Lazio, pur privata di due colonne portanti come Marchisio e Morata, la Juve ha dimostrato di essere superiore. Ha arginato la pressione di un’ottima Lazio, ribaltando lo svantaggio iniziale in una manciata di minuti. Alla pennellata di testa di Radu ha risposto Chiellini. Che il suo unico goal dell’anno l’abbia segnato proprio in un match chiave già è indicativo, che uno dalla sua tecnica l’abbia buttata dentro in rovesciata è perfino emblematico. La fame ha spinto i bianconeri oltre i propri limiti: hanno sofferto ma sempre con la consapevolezza di poterla spuntare. Non si è vista la miglior Juve, anzi. Rispetto allo strapotere mostrato nei due scontri precedenti in campionato, i bianconeri hanno faticato molto di più. Il 3-5-2 con Pirlo poco brillante, Pogba ancora non al top e Llorente fuori fase, ha perso l’efficacia contiana: difesa perfetta, ma con Tévez isolato la manovra offensiva non scorre e il gioco diventa più prevedibile. Ma è bastato l’ingresso di Matri per cambiare la storia: entrato al posto dello spagnolo, in meno di 7′ piazza due goal. Il primo lo annulla il guardialinee, il secondo è quello decisivo. Il tutto dopo un clamoroso doppio palo colpito da Djordievic nell’azione precedente. Altra rivincita di Allegri, altro segno del destino: dopo due ottime stagioni proprio in casa Juve, il Mitra si era sentito soffocato dall’arrivo di Tévez e aveva deciso di cambiare aria. Accolto a braccia aperte (e dietro versamento di ben 11 milioni) dal Milan di Allegri, con la casacca rossonera crollò: 1 goal in sei mesi. Subito ceduto in prestito alla Fiorentina, si sbloccò con una doppietta ma non lasciò il segno. È servito il contributo di Gasperini per dargli uno scossone: al Genoa sempre titolare, e nel girone d’andata piazza ben 7 reti. Tornato in prestito alla Juve, è stato sempre determinante nei momenti decisivi. 2 reti, tutte in Coppa Italia: l’1-0 che è valso la rimonta al Franchi dopo il 2-1 dello Stadium, e il goal vittoria di mercoledì sera. Una manna. È l’ennesimo segnale che questa Juve è una squadra vera, capace di motivarsi, di sostenersi, di spingersi sempre più in alto, un passetto alla volta. Dai top player all’ultimo dei panchinari (Matri, appunto), chi scende in campo sa di dover dare il massimo per la squadra, per la storia che rappresenta. Traccia lasciata da Conte che è rimasta indelebile: il gruppo viene prima. Ed è ciò che ha spinto la Juventus ad avere una grinta e una consapevolezza che le permette di compiere vere imprese, che vanno oltre i limiti tecnici che ancora la separano dalle fab4 (Bayern, Chelsea, Barça e Real).
Prima di Allegri, solo Lippi centrò il “double” al suo primo anno in panchina della Juve, nel ’95: altro enorme motivo d’orgoglio per Acciughina.
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