Tuttavia, nella mia (ancora breve) esperienza di vita con un Tifoso Romanista c’è stata una eccezione, esattamente 5 anni fa. All’epoca vivevo a Torino e in un eccesso di vitalità, mio marito (allora fidanzato) mi ha portato allo stadio a vedere Juve-Roma, sfidando tutte le sfighe. Non poteva scegliere occasione migliore: partita in notturna, un freddo porco come solo a Torino può fare la sera del 23 gennaio. Io quindi mi preparo di conseguenza: collant sotto ai jeans, due maglioni, piumino, stivali, e per concludere guanti-sciarpa-cappello. Mentre ci incamminiamo verso lo stadio (io come il famoso omino della Michelen, il Tifoso Romanista scaldato dal sacro fuoco dell’amore per la Maggica), osservo le persone che trasportano dei fagottini e oggetti simili… aspetta… sono coperte!?!? pile, lana… e piano piano capisco che morirò di freddo. E io che pensavo di essermi premunita a dovere!!
Ma la serata è appena iniziata e non c’è tempo da perdere pensando al gelo che patirò! c’è piuttosto da capire da dove guarderemo la partita. Perché chiaramente abbiamo i posti assegnati, “ma tanto possiamo spostarci, anzi magari riusciamo ad andare in curva con gli ultrà” mi dice il Tifoso Romanista che è ormai in trance da pre-partita e è già partito per la tangente. Ed ecco che, dopo i tornelli, mi trascina verso la curva. Non so come riusciamo a entrare, e improvvisamente mi trovo in mezzo a un delirio di bandiere, botti, fumogeni, cori, che mi sembra di ribaltarmi di sotto. Lui ormai non ci capisce più niente. Però, quando mi scoppia un petardo a mezzo metro che neanche a Kabul mi ero mai trovata in una situazione simile, non ci capisco più niente nemmeno io e scappo. Un poliziotto ci apre il cancello e ci fa uscire. “Solo perché c’è la signora, altrimenti ti facevo rimanere lì!”. Ma per fortuna riusciamo a guadagnarci un posticino tranquillo, in mezzo ad altri romanisti camuffati, e finalmente iniziamo a goderci la partita. Cioè, lui se la gode, io inizio a ibernarmi. Un processo lento ma costante, che mi vede seduta su un seggiolino di plastica gelida, sempre più ferma e bianca, a sbuffare nuvolette di vapore. Intorno a me gente avvolta nelle coperte, col passamontagna, una signora in pelliccia come non ne vedevo dal 1989.
Ora non sto a dilungarmi sui dettagli, tanto li racconterei male. Quello che ricordo è che, verso la fine, la partita era sull’1 pari. Poi, a pochi minuti dalla fine, Riise (un giocatore norvegese che mi stava molto simpatico perché giocava sempre a maniche corte anche quando faceva -5°, come in questa occasione) segna il gol decisivo.
Inutile dire che almeno un quarto dello stadio viene giù, perché a quel punto la partita è finita. Mi giro per guardare la reazione del Tifoso Romanista e… non lo vedo! Che si sia buttato di sotto per abbracciare Riise e tutti gli altri? poi lo scorgo, abbracciato a due signori (presumo Romanisti anche loro), che salta e grida. Corre da me, mi abbraccia, poi corre verso la balaustra, poi si abbraccia con un ottantenne seduto a pochi sedili da noi, che era stato tutta la partita col plaid scozzese sulle gambe, e che adesso salta anche lui dalla gioia.
La folla defluisce pian piano, e io riesco a stento a trattenere la gioia incontenibile del Tifoso Romanista, che vorrebbe attaccare con le sue consuete telefonate fiume al padre e al fratello, come dopo ogni partita. Andiamo a piedi a casa, 4 km di passeggiata per decomprimere, ma cosa vuoi che sia dopo questa immensa gioia?
Io mio marito non l’ho mai visto così felice, neanche il giorno del nostro matrimonio…
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