Mirabelle è pronta a mostrare la sua maschera, anche stasera. Gli occhi orlati di nero, piccole matrioske, di traverso, del suo viso ovale. Gli illuminanti e le terre di Babilonia ridotte in capsule, il mercurio egizio tritato con l’S4: passato e presente si fondono in linee rosse e blu. La pelle beve congiunzioni di punte, apici di malachite verde. Polveri di ocra e di antimonio surragate da k-face di marca. Niente Sinai, fuori dalle finestre. Nessuna miniera di galena che fa brillare le coste. Il Mar Rosso, la sabbia e i porti. Eilat che lecca le rive del Verdissimo. C’è altro, fuori.
Uno sguardo sulla strada, Mirabelle sorride al cemento e all’alluminio di Parigi Sud 5, alla tangenziale ovest con la schiena spezzata. Vene biforcute sporgono dalle ferite, rigide e orizzontali, telai smembrati, sangue di plastica e di makron si versa invisibile. Mirabelle è pronta per uscire, i tacchi affilati segnano delle mezzelune. Incertezze che rigano il pavimento. Deve andare da lei, prima, in quella lurida stanza.
Una mosca mutata sbatte contro le pareti, impazzita da quello che ha assaggiato in giro. Veleni bastardi di Parigi Sud 5, merda esplosiva e carne marcia. Accumuli lisosomiali, protidi con la corazza nera. Biochimica che traballa sui bordi dell’assurdo. Le ali della mosca bruciano, cedono, deve posarsi sulla sedia di vimini di Lu’lu. Nella stanza lurida. (…)