29 gennaio 2012 Lascia un commento
Non di meno il fenomeno della propria replica e’ presente nella tradizione cristiana e la psicoanalisi poi ha permesso a noi comuni mortali di moltiplicarci pur non essendo santi o dei.
Evidentemente anche nel Giappone feudale di Kurosawa se ne sentiva l’esigenza se proprio li’ e a quel tempo, e’ ambientata la storia del principe Takeda Shingen che prima di essere ucciso, trova un suo sosia in un ladro condannato alla pena capitale.
In pieno conflitto con i principati vicini, i nobili e i familiari di Takeda decidono di non annunciare la sua morte e sostituire il principe col ladro, con tutti i problemi annessi a questa decisione.
Doppi e ombre, sinonimi talvolta, antonomi in altri casi, conflitti e concomitanze in un gioco dell’uno o dell’altro che coinvolge molto dei protagonisti e non solo il sovrano rimasto ucciso.
Si perche’ e vero che assistiamo ai dilemmi prima e alla trasformazione poi di Kagemusha, il doppio, l’ombra appunto ma l’analisi non si ferma al suo protagonista quando il dilemma si spostera’ sul fratello del principe, sua ombra in vita e sul figlio, cresciuto a allevato nell’ombra di un padre che arrivo’ a preferirgli il nipote.
In qualche modo Kurosawa prende spunto da una serie di fatti realmente accaduti per analizzare il senso del doppio, quindi dell’interazione con se’ stessi e su cio’ che ci definisce e della forma subordinata tra individui, del vivere all’ombra di qualcun altro.
Il regista e’ imperioso, grandioso nelle ricostruzione di un medioevo vivido e vicino a giudicare dalle immagini ma ancor piu’ e’ perentorio nel tracciare i rapporti tra i protagonisti, fuori e dentro di loro.
Kurosawa epico e intimo, bella prova perfettamente riuscita e giustamente premiata.