E’ ufficiale, Kakà torna al Milan. Galliani ha contrattato con il giocatore e con il Real Madrid nei giorni scorsi ed oggi l’ex milanista torna a Milano per le visite mediche di rito e la firma sul contratto che lo legherà alla società rossonera per due stagioni.
Dopo quattro anni trascorsi a Madrid quindi la stella brasiliana fa marcia indietro e dichiara di voler tornare a casa per firmare nuovi successi con la maglia rossonera. Sarebbe una dichiarazione d’amore che potrebbe mandare in solluchero i tifosi di ogni squadra, se non fosse che proviene da un calciatore che ha voluto andarsene, vuoi per il prestigio del Real Madrid, vuoi per la ricerca di nuovi stimoli, vuoi per uno stipendio faraonico (a Madrid percepiva 9 milioni di euro a stagione), e che ora torna perché là non riusciva a trovare più spazio sul terreno di gioco.
Complice un infortunio al ginocchio e prestazioni altalenanti, Kakà non ha sfondato con la maglia dei Blancos e non è mai diventato l’idolo della folla com’era stato a San Siro e in cinque anni di permanenza ha collezionato, tra campionato e coppe, solo 120 presenze con 29 reti segnate, una miseria in confronto alla prima esperienza rossonera (270 presenze e 95 gol).
Tanto che non è più stato convocato nemmeno in nazionale, l’ultima apparizione dopo due anni di assenza, risale al 2012 per l’amichevole contro l’Iraq vinta dal Brasile per 6 a 0 con una rete, la terza, firmata proprio da Kakà.
Ecco che il ritorno di Kakà dovrebbe essere visto con molto scetticismo, nessuno mette in dubbio il suo passato ma il futuro resta un grande punto interrogativo, una domanda a cui solo il giocatore potrà rispondere per non fare la fine di un’altra grande stella del firmamento rossonero, Shevchenko il cui ritorno in prestito dal Chelsea è stato solo un affare mediatico piuttosto che sportivo. Una minestra riscaldata che ha assunto toni patetici.
La dichiarazione di Kakà di voler tornare a casa resta una delle frasi di circostanza che fanno parte del mondo del calcio per conquistarsi la simpatia del pubblico, perché tra terreno di gioco, uffici di procuratori e conti correnti, non esiste la parola amore. Da sportivo mi auguro che non sia così.