Karol: uomo-papa o papa-uomo?

Creato il 07 agosto 2011 da Ilcasos @ilcasos

Karol: Un Uomo diventato papa e Karol: un papa rimasto uomo, co-produzione Canada-Italia-Polonia, 2005-2006, miniserie tv, regia di Giacomo Battitato, 180 minuti ambedue.

Karol: un uomo diventato Papa

Karol è un ragazzo sveglio e vivace. Studia filosofia, gioca a calcio, sogna di fare l’attore. Ma arriva la guerra e i nazisti mettono a ferro e fuoco il paese. Scappa, salva un po’ di persone, capisce che Dio è l’unica salvezza. La guerra finisce, i nazisti vanno via, arrivano i comunisti. Ma le cose vanno anche peggio. I polacchi “rossi” si mettono in testa di bandire Dio e tra le due strade Karol non sbaglia. Si fa prete, parla di pace e amore. Diventa vescovo, arcivescovo, cardinale. I servizi polacchi lo vogliono morto ma in alto qualcuno lo ama. E’ eletto papa a sorpresa. Abbatte il comunismo, sfida Cosa Nostra, combatte contro la fame nel Mondo. Con la forza delle parole infiamma le folle, cambia la gente. “Karol un’ uomo diventato papa” e “Karol, un papa rimasto uomo” sono due film prodotti per la televisione, con una produzione mista tra Italia e Polonia e con un bravissimo Piotr Adamczyk nei panni del papa polacco. Ma non raccontano. Celebrano. E dove la strade della realtà si fanno scomode e tortuose, rielaborano. Wojtyla si trasforma così in super eroe religioso che vince gli ostacoli con la forza delle parole e plasma la storia con fede e temperanza scortato dalla volontà divina. Mentre la Polonia finisce sotto il giogo moscovita, Karol parla con gli operai, gli studenti, i membri del Partito. Discute, ascolta, pensa. E risolve. Guida grandi manifestazioni proletarie e spiega che non è la strada del comunismo, quella giusta. La Polonia capisce e poi capiscono anche Ungheria, Romania, Cecoslovacchia. Il Muro cade, il Comunismo è finito. Intanto Borsellino e Falcone saltano in aria. Karol va ad Agrigento e minaccia Cosa Nostra. Dopo la morte ci sarà l’inferno. Per loro e i loro figli. Infine gli ultimi anni. E sono ancora di lotta. Stavolta contro l’Aids che funesta l’Africa e la fame nel mondo. Ormai Karol è vecchio e malato ma non si arrende e non lascia mai soli i propri fedeli. C’è ancora tempo per gli ultimi fuochi: il Giubileo, la Giornata Mondiale della Gioventù, l’incontro con Castro. Muore a 84 anni mentre il mondo prega per lui. Tutti hanno ormai capito: è un santo. Ma se Wojtyla lotta contro la dittatura comunista, non si dice niente della sua amicizia coi regimi dittatoriali del Sud America. Nel film non c’è Pinochet, il dittatore cileno, al quale il Papa manda un telegramma di auguri molto sentito nel 1993. E non ci sono nemmeno Roberto Calvi e il caridnal Marcinkus , responsabile del crack Ambrosiano. Non c’è traccia di Gustavo Gutierrez, Hans Kung e Josè Comblin, i grandi teologi allontanati immediatamente da Wojtyla per divergenze sulla dottrina. C’è la sfida a Cosa nostra ma non i rapporti tra lo Ior e la mafia siciliana. Invece compare Oscar Romero, il coraggioso prelato salvadoregno che denuncia i crimini dei militari al governo. Ma non si dice dei continui richiami disciplinari che partono da Roma e nemmeno della solitudine e l’ostilità che Wojtyla favorisce nei confronti dello stesso. Nemmeno un pezzetto di pellicola invece, per Herman Groer e Kurt Kren, rispettivamente cardinale di Vienna e vescovo di St. Polten. Prelati pedofili, costretti a dimettersi dopo moltissimi anni di accuse e processi ma sempre coperti dal papa polacco. Come è coperto Bernard Law, cardinale pedofilo di Boston che alla fine è anche premiato con la nomina ad arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. Ci sono i malati di Aids ma non si dice che moltissimi di loro sono “infettati” dalle politiche retrograde e oscurantiste di Wojtyla che fa del no agli anticoncezionali, la pietra angolare della propria politica ecclesiastica.

Scena da "Karol: un uomo diventato Papa"

Il film quindi trasforma, ricrea, inventa. E non rende giustizia a un grande protagonista del’900. A un politico lucido e pragmatico, a un grande capo spesso coraggioso e moderno ma troppe volte disposto a sacrificare sull’altare del potere quei principi a cui un uomo di chiesa non dovrebbe mai rinunciare. Un uomo a capo della Chiesa, una lobby secolare, mondana e ultraterrena. Un uomo prigioniero delle proprie contraddizioni. Alcuni dicono: sono grandi produzioni rivolte al pubblico televisivo, alle famiglie coi bambini, a chi ha fede. Non vanno prese troppo sul serio. Può darsi. Ma una società che non si pone domande, che espelle dal proprio ambito tutta la sfera dell’inquietudine, del criticismo, della ricerca, è una società ferma al palo, paralizzata, stagnante.


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