Sul suo giornale Akhmedjarov aveva dato enorme visibilità alle manifestazioni spontanee indette recentemente nella cittadina di Zhanaozen contro le autorità kazake, accusate di aver provocato nel dicembre scorso 14 vittime e più di 80 feriti nella repressione di uno sciopero non autorizzato da parte di alcuni operai della compagnia petrolifera statale KazMunaj Gas. A fine 2011 Zhanaozen, piccola località al centro del cuore petrolifero del Kazakhstan, era stata teatro di una clamorosa protesta nel nome di un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro, che ben presto si era allargata a tutta la città trasformandosi in una vera e propria sommossa contro il presidente-monarca Nazarbaev, per la prima volta oggetto di contestazione in vent’anni di regno.
Sebbene le indagini non abbiano ancora preso una strada precisa, non sembra esserci dubbio sulla natura politica dell’agguato: dopo la sanguinosa “normalizzazione” di dicembre, il giornalista aveva organizzato dei flash mob in difesa dei lavoratori e allo scopo di sensibilizzare la popolazione sulla mancanza di libertà nel paese, e queste azioni non erano state gradite dalle autorità locali, che le avevano bollate come “distruttive alla pari dei loro organizzatori”. Del resto, lo stesso Akhmedjarov sapeva bene di rischiare la vita per le sue attività: poche settimane fa aveva denunciato minacce giunte a sua moglie, e aveva rivelato di vivere ormai sotto sorveglianza dei servizi segreti.