Ken Park

Creato il 20 novembre 2013 da In Central Perk @InCentralPerk
Once Upon a Time -2002-
Entrata ormai nel mondo di Harmony Korine, la sua fissazione per i giovanissimi e le loro esperienze bibliche sta iniziando a preoccuparmi. Tema comune di tutti i suoi film -Julien Donkey-Boy compreso, nonostante tutto-, i giovani che racconta sono quelli che se la cavano da soli, che provano tutto e disobbediscono, individuali e collettivi al tempo stesso.

Ken Park non è da meno, anzi, ancora una volta ci spinge in quella periferia americana qui più borghese, in famiglia atipiche e ragazzi in fase di crescita.
Shawn si diverte soddisfacendo a turno madre e figlia, lasciando il padre/marito ignaro di tutto, Peaches recita la parte della brava ragazza di chiesa davanti ad un padre opprimente e ossessionato dalla moglie defunta, mentre con gli amici è molto più "aperta", Claude deve vedersela con un padre ubriacone che non regge la sua fragilità e i suoi tratti delicati e infine Tate, chiaramente disturbato, vive con i nonni innamorati e benevoli che non sopporta.
In più c'è il Ken Park del titolo, un ragazzo sullo skate che si muove sui titoli di testa, apparentemente felice e incurante che, riprendendosi con la propria videocamera si spara in testa. Il motivo, grazie a Shawn, lo verremo a sapere solo sul finale.

Ancora giovani, quindi, ancora le loro esperienze esplicite su schermo, ancora gran poco politically correct ma, questa volta, una regia più classica e didascalica, divisa in capitoli introduttivi. Il motivo è presto detto, visto che dietro la macchina da presa siedono Ed Lachman e Larry Clark, che già con Kids aveva tradotto su schermo la sceneggiatura di Korine. Probabilmente per questo, e per l'attrazione istintiva verso le disavventure dei protagonisti, Ken Park si lascia vedere molto più fluidamente del resto della filmografia harmoniana: nessun sperimentalismo eccessivo, nessuna pretenziosità, la verità che ci viene sbattuta in faccia è qui filtrata dalla sapiente mano di Clark, attenta ai dettagli e alla fotografia, che segue i suoi giovani e ce li mostra in tutte le loro inibizioni, in quel sogno di perfezione e unità che è il finale. A far da sottofondo, pezzi cult che vanno dai Rancid a Gary Stewart che incorniciano un film compatto e chiuso in se stesso, appagante e voyeuristico, capace di raccontare né la meglio né la peggio gioventù. Solo la gioventù.

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