un sorprendente epos che intreccia, interconnette, integra- felicemente- spiritualità e pragmatismo politico per dare volto, suono e consistenza fisica a tutto un universo di pulsioni e percezioni che il gretto modus cogendi imperante (materialista e tecnomaniaco) ha censurato e soffocato. e non esiste luogo migliore per ambientarlo, se non il paesaggio lunare- il dominio incontrastato di madre natura- delle steppe mongole. locus amoenus da cui si dipana la storia che ha come eroe il “profeta” epilettico Bagi, giovane pastore nomade, e come protagonista assoluta la Natura in tutto il suo tormentato splendore.
II.De-localizzazione
il risvolto sociale della vicenda ruota attorno alla politica di forzato abbandono dello stile di vita nomade condotta da parte del governo dittatoriale stalinista, che investe le vite di Bagi, di sua madre e del nonno, costretti a lasciare la loro libertà, gli animali da cui dipendono e la loro vita in generale, per vivere imprigionati nei tristi loculi di cemento pre-fabbricati dagli opportunisti del potere. rinchiusi in prigione (l’immagine bellissima e triste del nonno che pela patate su patate), costretti a lavori monotoni (Bagi) o a sventrare la terra che fino a pochissimo prima li aveva sfamati con ruspe e gru (la madre di Bagi), non ci vorrà molto prima che scatti il meccanismo di auto-conservazione che- grazie alle esperienze extracorporee del protagonista durante le convulsioni- si sostanzia in una rivoluzione popolare dai contorni quasi metafisici, ultra-terreni- come se non fossero gli uomini a guidare le proprie azioni, ma il cosmo intero a muoversi come un solo corpo.
III.il Giudizio del Cielo
il simbolismo legato al cielo (tengger)- nella tradizione sciamanica: il giudice dell’agire umano- pervade la pellicola dall’inizio alla fine: si tratta di un invito a ri-pensare il rapporto con la natura, pervertito e distorto dall’avidità e dalla miopia dei latori della modernità (il Potere, nelle vesti degli ufficiali militari), che nuoce a tutti, uomini compresi, portandoli alla deriva. l’amicizia con la “guerriera” Zolzaya, per l’appunto, non è casuale: se la Natura è il movente (la grande motivazione), Bagi ne è l’ispiratore (tramite le sue percezioni oniriche), Zolzaya di conseguenza ne è la grande mano che farà da collante alla lotta “divina” (la straordinaria immagine della gente riunita sul tetto) del popolo. una rivoluzione vera, eppure profondamente spirituale.
A latere:
- la pellicola è ambientata nei tardi anni (gli anni Settanta, forse Ottanta) della Repubblica popolare di Mongolia (1924-1991): governo allineato strettamente all’Unione Sovietica (nelle cui basi militari abbandonate sono state girate delle sequenze del film), che ha portato avanti pratiche di collettivizzazione, sia in agricoltura che allevamento, oltreché afflitta (caso affatto isolato) da una corruzione endemica.- apparentemente superficiale il richiamo all’industria di estrazione mineraria, essa fa in realtà riferimento a pratiche di frequente abuso (facilitazioni economiche e altri trattamenti privilegiati) dei terreni, altamente nocivo, che l’attuale governo democratico tollera.- il drappo blu, alla cui immagine e al cui universo di valori la pellicola è legata a doppio filo, è una sciarpa utilizzata durante le cerimonie buddiste è sta a simboleggiare il cielo, quale giudice e portatore di serenità: non è casuale difatti il richiamo agli aerei (il padre di Bagi era pilota) e a una passata epoca d’oro dell’abbondanza.
titolo originale: Khadakun film di Peter Brosens & Jessica Hope Woodworth2006