Ogni tanto serve fare appello alla memoria delle persone e pure alle loro conoscenze. Tanto tempo fa, prima del proliferare incontenibile delle trasposizioni cinematografiche tratte dai fumetti, i film d’azione avevano i loro eroi e le proprie formule collaudate per rendere tutto spettacolare ed avvincente. C’erano pure sceneggiatori in grado di compiere dei veri e propri miracoli di scrittura (Shane Black non ti ringrazieremo mai abbastanza), ed anche registi per niente impauriti dai produttori, anche se si trattava di un film di genere ad alto budget. Questa prefazione per raccontare che a visione terminata di “Kingsman”, ho avuto una specie di dejà vu. La pellicola di Matthew Vaugn tratta dal fumetto di Mark Millar (stessa coppia che ha dato origine alla prima incursione cinematografica di “Kick Ass”), mi ha ricordato il fu “Demolition Man”, pellicola anni ‘90 che vedeva protagonisti Sylvester Stallone e Wesley Snipes. Immagino che una persona più seria del sottoscritto avrebbe fatto una parallelo con un qualsiasi capitolo di James Bond, magari sperticando a destra e sinistra quanto questa pellicola ne dissacri “i dogmi”, ma se così fosse non sarei io quello che sta scrivendo.
“Demolition Man” era un film atipico, si preoccupava non solo di essere spettacolare ma anche di divertire pompando in modo smisurato su situazioni politicamente scorrette. Ecco il papà del fumetto di “Wanted” fa proprio quello che fece l’uomo demolitore negli anni 90, arrivando come una ventata di aria fresca (o un elettroshock), che investe sia le trasposizioni a fumetti che il racconto di spionaggio classico (ripulendo il primo e sporcando il secondo, come consigliava Stallone ai due politici opposti alla fine di “Demolition Man”). Costantemente combattuto tra il voler essere un James Bond che gioca con l’improbabilità della messa in scena, o un Austin Powers dal piglio serioso, “Kingsman” non si dimentica il racconto di formazione interno che aiuta anche il più decerebrato degli spettatori ad immedesimarsi nei panni del protagonista (ma soprattutto apre il terreno alla possibile e probabile valanga di seguiti).
E se nel lavoro di mediazione tra le prime due caratteristiche il lavoro di Matthew Vaugn funziona perfettamente, supportato dal personaggio interpretato da Colin Firth e al grottesco cattivo di Samuel Jackson (che si deve essere parecchio divertito), il fallimento del film (sempre che di mancata riuscita si debba parlare), lo si trova nella canonicità della parabola legata al protagonista principale. Interpretato da un bidimensionale Taron Egerton, troppo impegnato ad apparire “bello, bello in modo assurdo”, dimenticandosi che il suo personaggio dovrebbe essere molto più sporco in quanto anti eroe che lentamente diverrà l’errore di cui il mondo intero ha bisogno, ma allo stesso tempo molto più “cool”.
“Kingsman” diverte molto di più quando le azioni non sono compiute dal protagonista della storia e questo, almeno per come la vedo io, si rivela essere un problema non del tutto secondario in quello che altrimenti sarebbe diventato il cine comic dell’anno, grazie anche alle spettacolari sequenze d’azione e a dei personaggi che carismatici sarebbe un insulto alla loro personalità (basti pensare alla parte affidata a Mark Strong, o alla galoppina senza gambe di Sofia Boutella, se sapete chi sia quest’ultima riderete ancora di più a vederla con quelle protesi ai piedi). Tirando le somme “Kingsman” diverte praticamente chiunque, ma non rimane impresso nella memoria come sarebbe stato lecito attendersi vista la storia e le situazioni che essa genera.