Edito inizialmente da Phoenix e in seguito da Magic Press, de L’ospite indesiderato, opera di Hitoshi Iwaaki, sono stati pubblicati in Italia otto volumi su dieci totali.
Il fumetto racconta una misteriosa invasione da parte di una nuova specie di parassiti, capace di prendere possesso del cervello delle persone e sostituirsi a loro.
Il tratto dell’autore è grezzo, elementare in molti aspetti, pur mostrando una costante evoluzione e riuscendo, specie nelle copertine e nelle illustrazioni a colori, a nascondere i propri limiti; uno stile comunque volutamente semplice, anche per contrasto con una storia violenta che, altrimenti, svicolerebbe nello splatter in più punti, e che identifica l’autore come figura underground rispetto al panorama del fumetto popolare giapponese.
L’opera, pur con qualche momento di stanca nella parte centrale, è appassionante e coinvolgente, scritta con misura, con momenti drammatici e altri profondi appena stemperati dalle pause tra gli uni e gli altri. Uno dei piccoli gioiellini dimenticati dall’editoria italiana, vittima, oltre che dello scarso successo, di una visibilità compromessa anche dal cambio di editore e da una periodicità di conseguenza irregolare.
L’ospite indesiderato si inserisce perfettamente in quella tipologia di racconto classica, cara a tanti manga dai generi e dai toni più disparati, nella quale un ragazzo come tanti riceve un potere superiore al normale per combattere una minaccia verso l’umanità.
Ma l’impianto di base dell’uomo comune che riceve una forza altra, da cui trae la possibilità di fare del bene al prossimo, ma da cui riceve anche conseguenze drammatiche e pericolose, è in fondo lo stesso che ha fatto la fortuna del supereroe a la Marvel, da Spider-Man in poi: il tema tanto caro a Stan Lee del “supereroe con superproblemi”.
È curioso notare come differisca nelle due scuole, quella giapponese e quella statunitense legata principalmente al supereroistico, la natura dell’elemento ostile contro cui lotta/no il/i protagonista/i.
Nella società giapponese, ancora vincolata a una tradizione sociale fortemente strutturata e unita da una figura una volta considerata di natura divina come l’imperatore, che ha subito l’onta della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e quella ancor peggiore della conseguente invasione e assoggettamento agli stranieri, il nemico non può che venire da fuori, una minaccia sconosciuta, non può che essere l’alieno o il diavolo o esseri dagli abissi della terra.
Il supereroe americano si trova invece a difendere le persone a lui vicine da elementi della stessa comunità sociale, caratterizzati da avidità, crudeltà o follia vera e propria. Una società di stampo individualista e dal passato colonialista, senza una tradizione di invasori da respingere oltre i propri confini, non può che cercare il nemico al suo stesso interno, nella corruzione nata dalla propria stessa opulenza.
Spingendo a fondo questa visione, L’ospite indesiderato si presta allora a una ulteriore considerazione basata su questi concetti.
Tema quanto mai caro alla fantascienza classica, che richiama alla mente pellicole in bianco e nero e che fonda la sua efficacia sulla paura verso quel cambiamento che, dall’esterno, viene a corrompere, disgregare, portare disordine nell’ordine costituito. Quel cambiamento che nella società del Giappone del post-Seconda Guerra Mondiale è stato portato dall’apertura verso la cultura occidentale, verso nuovi modelli di vita, nuovi prodotti di consumo, nuovi idoli e mode.
Una metafora che porta forse all’estremo il messaggio del fumetto, ma che svela comunque la natura del meccanismo di orrore che ne sta alla base e come questo possa portare a suggestioni e interpretazioni forse ben lontane da quelle originarie dell’autore.
Un altro particolare da sottolineare si perde purtroppo nell’edizione italiana, che presenta le tavole ribaltate per una lettura all’occidentale. Nell’edizione italiana infatti il parassita si insidia nel braccio sinistro del protagonista, tanto da venire soprannominato Mancy,
Per quanto sia personalmente favorevole ad adattare quanto più possibile un’opera per renderla più facilmente fruibile [1] , in questo caso ci troviamo di fronte a conseguenze ben precise nella percezione della storia da parte del lettore occidentale.
Per la maggior parte di questi [2] , la creatura ha infestato il braccio secondario, la mano che funge da sostegno alla destra, mentre nell’intenzione dell’autore è il braccio primario, quello con cui ci si ciba, si scrive, si entra maggiormente in contatto con gli altri, a esser controllato. Vista nelle intenzioni dell’autore, quindi, l’entità della possessione è molto più forte di come percepibile al lettore italiano; una convivenza maggiormente debilitante e limitante, che rende di fatto in qualche modo il contatto con l’esterno vincolato dal parassita.
L’ospite indesiderato ha molte affinità con un classico del fumetto, Devilman di Go Nagai [3] .
Ciò che differenzia molto le due opere sono il tono con cui vengono affrontate queste basi, la portata degli avvenimenti e naturalmente la risoluzione.
Tanto è colmo di pessimismo, di senso dell’ineluttabile, di impotenza e di sfiducia verso la natura dell’essere umano il capolavoro di Go Nagai, tanto lascia spiazzati la deriva finale de L’ospite indesiderato, che suggerisce il raggiungimento di una sorta di equilibrio nel rapporto di forze tra gli uomini e i parassiti nascosti tra loro.
Con Iwaaki si assiste a una sorta di umanizzazione dell’invasore, capace di apprendere dagli esseri umani e di apprezzarne la natura sociale tanto da cercare di imitarla; Nagai nega invece qualunque possibilità di interazione tra uomini e demoni, portando all’estrema conseguenza la guerra tra le due specie e ponendo il dubbio che l’essere umano non sia meno crudele e folle dei diavoli.
Segno probabilmente, oltre che di una diversa sensibilità degli autori, del contesto storico-sociale in cui queste opere sono nate,
Al termine di questa analisi, mi preme sottolineare come da un’opera, un prodotto definibile di “evasione”, possano nascere riflessioni capaci di andare ben oltre il fumetto stesso.
Poco importa, dal mio punto di vista, se quanto analizzato fosse effettivamente nella mente degli autori o se possa essere una interpretazione valida in assoluto. La cosa più interessante secondo me è come, guardandolo da un punto di vista laterale, cercando di leggere tra le vignette, sia possibile trovare in un fumetto spunti di discussione, associazioni curiose, stimoli mentali.
Caratteristica di un buon fumetto popolare dev’essere infatti la possibilità di offrire molteplici livelli di lettura e la possibilità di trovare riflessi del reale, del contesto in cui sono nati, al di sotto della loro superficie di prodotto di intrattenimento e svago; e riuscire a essere efficace in entrambi questi aspetti.
Note:
- In merito al ribaltamento delle tavole dei manga si può leggere l’opinione di Daniele Barbieri in questi due post: www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=7958&_idfrm=107 e www.guardareleggere.net/2011/10/25/dei-manga-pubblicati-in-edizione-ribaltata-e-dei-mali-del-fumetto ; per un approfondimento invece sull’adattamento delle onomatopee, un interessante reportage su www.animeclick.it/news/27836-asuka-ozumi-j-pop-le-onomatopee-nei-manga-in-italia-ac-report [↩]
- Nel 1998, secondo uno studio, solo il 7-10% della popolazione adulta era mancina fonte: it.wikipedia.org/wiki/Mancinismo [↩]
- Sul quale non possiamo non segnalare il nostro speciale con approfondimenti e omaggi di disegnatori italiani, che potete leggere qua: www.lospaziobianco.it/54831-speciale-devilman-40-anni-orrore [↩]
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