lug 10th, 2014 ·
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“La gioventù non ha età”
P. Picasso
Mentre il padre impastava farina mista acqua col calore del forno alle spalle, il piccolo Jurgen, con la squadra del TB Gingen, buttava, per la sedicesima volta, il pallone in rete. Alle spalle il calore del pubblico che da lì a qualche anno sarebbe aumentato sempre di più. E’ Klinsmann, classe 1964, uno degli attaccanti tedeschi più prolifici degli anni ’80 e ’90. La “pantegana bionda” come lo chiamarono i tifosi italiani nel suo soggiorno all’Inter, saettante, veloce, potente. Nei Kickers di Stoccarda arrivava a toccare in 11 secondi i 100 metri. Avrebbe potuto fare il corridore ed invece no, il nostro Jurgen giocò a calcio diventando un idolo quasi dappertutto, un goleador di razza che segnava quasi in ogni gara. Ne fece 16 in una gara quando giocava a Gingen, poi, dal 1984, entrando nelle file dello Stoccarda in Bundesliga, iniziò una serie di prestazione straordinarie che lo fecero divenire in breve tempo un degno erede del grande Muller. Con i Die Rotten perse 5-2 una finalissima di DFB Cup (la coppa di Germania) nel 1986 contro la corazzata del Bayern di Monaco guidata dal grande Lattek in cui militava Rummenigge e Matthaus. Ogni anno realizzava una media di 13-14 reti, divenendo finalmente capocannoniere nella stagione ’87-’88 con 19 gol. E il grande Beckenbauer, allora allenatore della nazionale tedesca, non può far finta di niente. Lo seleziona nella rosa che partecipa agli Europei del 1988 in Germania. Qui Klinsmann contribuisce con una segnatura alla vittoria per 2-0 contro la Danimarca nel Girone 1 ma si dovrà arrendere in semifinale contro la fortissima Olanda di Michels.
Jurgen sa che può migliorare il suo estro e decide di cambiar sponda calcistica l’anno successivo quando, dopo aver perso una finale di Coppa Uefa con il Napoli di Maradona passa in estate all’Inter di Trapattoni dove incontra i suoi compagni di nazionale: Matthaus e Brehme. Già vincitori dello storico scudetto dei record nel ’89, i nerazzurri con l’innesto flash di Klinsmann mirano questa volta all’Europa. Ma il desiderio è effimero in un battibaleno: già al primo turno di Coppa Campioni vengono eliminati dal Malmoe. Ma Jurgen, con 13 reti in campionato, un terzo posto sotto al Napoli e al Milan di Sacchi e con l’intesa perfetta con Matthaus, diviene subito una celebrità nel mondo interista. Ma la prima stagione in neroazzurro è soltanto una molla per quello che sarebbe stato un anno magnifico per Klinsmann. Al mondiale di Italia ’90, infatti, passato il Girone C facilmente (unica nota stonata, dopo le vittorie con Jugoslavia ed Emirati Arabi, è il pareggio con la Colombia di Valderrama) contribuisce assieme a Brehme al passaggio ai quarti di finale dopo il 2-1 con l’Olanda agli ottavi, trovando così la rivincita due anni dopo gli Europei. Sconfitta anche la Cecoslovacchia ai quarti e l’Inghilterra di Lineker in semifinale (dopo i calci di rigore) la finale a Roma dell’8 luglio è un ritorno clamoroso a quella di 4 anni prima di Messico ’86, quando l’Argentina di Maradona vinse 3-2. Questa volta però la Germania da il meglio di se e grazie ad un generoso rigore realizzato da Brehme a 5 minuti dalla fine, la squadra di Beckenbauer è campione del mondo per la terza volta.
Klinsmann a 26 anni alza il trofeo più importante per un giocatore di calcio e i suoi 3,2 miliardi di lire spesi dalla società neroazzurra per acquistarlo dallo Stoccarda ne sono valsi la pena. Dopo la vittoria straordinaria al mondiale, Klinsman vince anche a livello di club. Nel ’91 arriva, dopo le due finali di andata e ritorno con la Roma, anche la Coppa Uefa che Jurgen aveva perduto due anni prima. Nel giro di pochi anni Klinsmann si riscatta da tutte le sconfitte e delusioni del passato. Per tutti è ormai “la pantegana bionda”, un nomignolo scherzoso che indica però affetto da parte dei tifosi. Il periodo italiano si interrompe l’anno dopo, nel ’92, dopo una stagione non esaltante da parte dell’Inter e con l’apertura estiva degli Europei di Svezia ’92. La pessima annata continua pure in scandinavia. La Germania, allenata da Vogts, arriverà fino alla finale ma perderà 2-0 con la sorpresa Danimarca, guidata da Laudrup e Larsen. Jurgen decide quindi di cambiare aria, saluta il caloroso popolo italiano e passa ai francesi del Monaco per un paio di stagioni delle quali ci si ricorda maggiormente la finale di Coppa Campioni del ’94 sfuggita per un soffio con la sconfitta in semifinale contro il fortissimo Milan di Capello. Ai Mondiali di Stati Uniti ’94 la sua nazionale non fa faville: pur segnando 5 reti in tutto il mondiale, Jurgen e soci si arrendono ai quarti di finale, battuti dalla Bulgaria di Stoichkov. A 30 anni Jurgen ha bisogno di altre ispirazione nel far gol e decide di andare in Inghilterra a vestire la maglia del Tottenham. Qui Jurgen diventa un vero e proprio idolo delle folle. Si parla di circa 150.000 magliette vendute e sponsor a non finire.
Segna 21 gol nell’arco della stagione ma, incredibilmente, lascia Londra dopo un anno. Nel 1995 ritorna in Germania e parte la sua avventura con il Bayern di Monaco. Qui ritroverà nuova linfa e grazie alle sue incursioni e ai suoi tiri pazzeschi fuori area conquista l’anno successivo una seconda Coppa Uefa battendo nella doppia finale il Bordeaux. Come allenatore ritrova Beckenbauer e come compagni ancora Matthaus più uno scatenato Papin. In estate viene convocato per gli Europei di Inghilterra ’96, i suoi terzi, caso più unico che raro, arrivando a vincere in finale contro la Repubblica Ceca 2-1, dopo aver eliminato Croazia ai quarti ed Inghilterra in semifinale. Da ricordare la sua splendida doppietta contro la Russia nel girone iniziale. Sotto Trapattoni, un altro ritrovo felice, arriva nel 1997 anche la Bundesliga tanto sognata quando giocava con lo Stoccarda. Insomma, il decennio dei ’90 è per Jurgen una cornucopia piena di oro e frutti succosi. Pochi mesi con la maglia della Samp e poi un’altra stagione nel 1997-98 col Tottenham sanciscono di fatto la fine della carriera calcistica di Klinsmann. O quasi. Si perché partecipa al suo terzo mondiale, quello di Francia ’98, arrivando solo ai quarti di finale e perdendo contro la giovane Croazia di Suker con un secco 3-0.
Segna in Francia 3 gol a cui si sommano i 5 di Usa ’94 e le reti di Italia ’90. 11 reti in tre mondiali, non male vero? Per un totale di 47 segnature con la Germania, sotto soltanto a Gerd Muller e a Streich. Una brevissima parentesi statunitense 5 anni dopo nelle file dell’OC Blue Star portarono la decisione di Jurgen di appendere le scarpette al chiodo. Un addio al calcio? Giocato, si. Ma allenato no. Jurgen si rimbocca le maniche e diventa il tecnico della nazionale ai mondiali di Germania 2006. Ve lo ricordate? Con le mani sui capelli dopo il gol in extremis di Grosso nella storica semifinale che portò poi gli azzurri a vincere l’ultima gara contro i francesi? Sì, Klinsmann era lì su quella maledetta panchina. E dopo pochi mesi a tener le redini della sua ex squadra, il Bayern, prende nel 2011 la panchina della nazionale degli Stati Uniti, portandola alla vittoria della Gold Cup 2013 (1-0 al Panama) e alla qualificazione di questi strabilianti mondiali di Brasile 2014 che, sfortunatamente, dopo una lunga e dura partita da testa a testa, hanno visto la sua eliminazione agli ottavi nella gara con il Belgio durante i tempi supplementari.
Quella di Jurgen Klinsmann non è una semplice carriera sportiva ma un continuum dalle molte curve, dagli alti e bassi ma infinito, come lo schiocco fra piede e pallone che finiva in rete o come i suoi capelli mossi che quando si muoveva sotto la pioggia creavano una bionda esplosione di energia, come una fosforescente stella filante di colore giallo.
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