Il cinema di Eli Roth ha qualcosa di arcano, luciferino e sordido, é come se conservasse al suo interno qualcosa di celato e poco raccomandabile, uno sguardo oscuro ed impudico sulla vita di ciascuno di noi, uno squarcio di malata e terrificante verità, pronta ad esplodere spargendo frammenti di putrido lerciume. Non fa eccezione questo Knock Knock, pur presentandosi come il più trito dei cliché, conserva al suo interno l’anarcoide voglia di divertire e divertirsi, sovvertendo le regole scritte del genere, che prevedono per esempio, che la vittima si vendichi del suo aguzzino. Ecco, Knock Knock gioca sporco, mettendo in scena un contrappasso di una cattiveria senza eguali, dove i carnefici acquistano il ruolo, se non di vittime, di giudice, giuria e boia, imparzialmente impegnati a dispensare giustizia. Eli Roth gioca le sue carte alla grande e ribalta l’empatia che inevitabilmente proviamo per la vittima Keanu Reeves, rispuntandocela in faccia con sadismo e calcolata arte cinematografica. La differenza sta tutta lì, nell’accettare consapevolmente il ruolo che il destino ha scritto per te, a quel punto non esistono più scuse e scappatoie, non si può più parlare di vittime e carnefici, ma solo di complici, determinati a vestire un ruolo, impossibilitati a cambiare e purtroppo quindi a scegliere. Un film non banale, che ridefinisce i canoni del genere e che ha il coraggio di restituirceli ribaltati, più vivi che mai ed ammantati di una moralità nuova, forse più degna e sicuramente più adulta.