Kodokuna wakusei (孤独な惑星, In a Lonely Planet)

Creato il 10 marzo 2012 da Makoto @makotoster

Kodokuna wakusei (孤独な惑星, In a Lonely Planet). Regiae montaggio: Tsutsui Takefumi. Sceneggiatura:Miyazaki Daisuke. Fotografia:Ashizawa Akiko. Musiche originali: Endô Shingo e Pierre Bastien. Interpreti:Tetsuo (Ayano Gô), Mari (Takeko Aya), Arisa (Mimura Takayo).  Produttoreesecutivo: Yamaguchi Hiroyuki. Durata: 94'. Uscita nelle sale giapponesi: 17 dicembre 2011.Link: Sito ufficiale 
Punteggio ★★★   
Ilcinema giapponese contemporaneo è pieno di film sulla solitudine urbana enon, un tema spesso abusato, non perchè non corrisponda ad unaparte di verità, ma perchè finisce per appiattire l'immagine e la percezioneche lo spettatore (sia esso giapponese o straniero) ha della città nipponica. Inpiù, per una sorta di semplificazione e contrapposizione in cui fatalmente si cade, sembra chesolitudine e problemi relazionali sianolegati indissolubilmente al tessuto urbano in cui le vite delle personecrescono e si sviluppano, come se la vita in campagna offrisse delle soluzionimigliori. È perciò rinfrescante quando un film che ci presentapersonaggi afflitti da solitudine e complicazioni sentimentali, sebbeneambientato in città, riesca ad evadere da questi facili ma insidiosi luoghicomuni. E' questo il caso di  Kodokuna wakusei, di  Tsutsui Takefumi, regista attivo da parecchi anni sulla scena indie anche comeproduttore. La storia è quella di Mari, una giovane office lady che abita dasola e lavora in una piccola compagnia di import-export, e dei suoi due vicinid'appartamento, Tetsuo e Arisa, che nemmeno conosce. Un giorno, dopo una lite, ilgiovane si trova sbattutto fuori di casa e viene accolto dalla vicina. In unatmosfera piena di ammiccamenti e sguardi e parole che sembrano dire e nondire, i due finiscono per trovare un accordo, Tetsuo vivrà in una tendacanadese sul piccolissimo balcone dell'appartamento di Mari, che gli parlerà ogni giorno dal telefonino e gli passerà dalla finestra i pasti. Un modo strano diconoscersi e di allacciare una relazione che getta una luce parodistica ma allostesso tempo quasi incantata sul destino dei personaggi che si muovono nelfilm. Sono quasi assenti i movimenti di camera e quasi tutto il film è giratoall'interno dell'appartamento con sapienti giochi di luce, riflessi conl'esterno e passaggi sfuocati. È vero che c'è una simbologia dell'interno vistocome destino delle giovani generazioni separate da una barriera, in questo casoil vetro della veranda o il muro che divide i due appartementi confinanti. Èaltrettanto vero però che visto più in profondità il film ci rivela come sia ilcorso delle vite stesse, nei loro assurdi movimenti, siano essi interni odesterni, il vero involucro che avvinghia e plasma il destino di ognuno. Ilrituale con cui Mari spesso sposta degli spilli su una mappa del mondo è un po'il succo senza risposta e senso del film. A essere pignoliil film non offre niente di nuovo nelle tematiche affrontate. Come però si diceva all'inizio, ciò che lo distingue è un tocco molto delicato e a volte surrealeche il regista riesce a mantenere  semprein bilico fra il comico, il lirico ed il sentimentale senza rovinare tutto inun finale scontato. Anzi, proprio il finale rimane aperto, tanto nella trama che nello stile.Uno stile che si avvale dell'eccezionale apporto sonoro, laddove sia le musichesperimentali che l'uso dei rumori esterni sono una parte fondamentale per crearequell'atmosfera di sognante normalità e di quotidiana e spicciola surrealtà checaratterizza l'opera. È un lavoro in definitiva molto curato in tutte i suoiaspetti tecnici e ciò va sottolineato specialmente in un momento come quello attualedove molti dei film indipendenti, con idee azzeccate e prove di regia ed'attori anche superlative, troppo spesso lasciano un retrogusto amaro per laqualità stessa delle immagini, delle luci, del posizionamento della macchina dapresa che troppo spesso danno all'opera un tono sciatto, scontato. Questo è un fattore che deriva parzialmente dall'uso oramai quasi totale del digitale ma ciò non può essere unagiustificazione. Nel film di Tsutsui, invece, la cura per l'immagine in sè, per iltessuto stesso del visuale, grazie anche alla fotografia di Ashizawa Akiko,collaboratrice per molti film di Kurosawa Kiyoshi, esalta la buona provad'attori ed in definitiva l'approccio metodologico del regista, in unlavoro che proprio per questo ha la capacità di ri-allucinare il quotidiano,estraniandocelo, rompendo la continuità che siamo soliti conferirgli erendendolo in definitiva più vero. [Matteo Boscarol]

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