Tuono Pettinato, nome d’arte di Andrea Paggiaro, è tra i più apprezzati fumettisti degli ultimi anni per la sua ironia e grazia, nonché illustratore e falso chitarrista nel gruppo hardcore Laghetto. E’ membro del gruppo dei Superamici, con cui pubblica la rivista “Hobby Comics” ed il free-press “Pic Nic”. Ha collaborato con Kerosene, Repubblica XL, AnimalS. Ha pubblicato in volume i fumetti “Apocalypso – Tuono Pettinato: gli anni dozzinali”, “Galileo! Un dialogo impossibile”, “Garibaldi”. In rete lo trovate su tuonopettinato.blogspot.it.
Perché proprio un fumetto su Garibaldi?
L’argomento mi è stato proposto nel 2010 dall’editore, Simone Romani, in previsione delle celebrazioni per il Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia. In precedenza avevo disegnato alcune biografie brevissime (e scemissime) di personaggi storici, e probabilmente grazie a quelle mi è stato affidato l’arduo compito di narrare le gesta dell’eroe dei due mondi. Il fatto che il fumetto sia nato a partire da una richiesta esterna non ha impedito che io mi appassionassi all’argomento e finissi per ammorbare tutti gli amici e parenti parlando in continuazione con fraseggi ottocenteschi per un annetto buono.
Come hai condotto la tua ricerca su questa figura così importante e famosa per l’Italia?
Quando ho cominciato a lavorare al progetto, pensavo che sarei stato costretto ad inventarmi delle divagazioni buffe per ravvivare una trama noiosona. Ma mi è bastato immergermi nella documentazione per capire che mi sbagliavo: leggendo un paio di biografie del prode Beppe (specialmente quella scritta da Montanelli) ho scoperto tutta una serie di gustosissimi aneddoti di storiapatria che a scuola si erano scordati di raccontarmi, primo fra tutti il fatto che il nostro eroe non capiva le barzellette.
Si poneva comunque il problema di come affrontare la figura di Garibaldi. Mi son presto reso conto che c’erano grossomodo tre scuole di pensiero: quelli Garibaldi era un eroe invincibile integerrimo intoccabile; quelli che Garibaldi era uno spietato mercenario che al sud ha portato solo disgrazie; e quelli che Garibaldi era un volenteroso sognatore che non sapeva bene scegliersi gli amici, e finiva sempre per rimetterci (lui e le popolazioni meridionali). Questa terza linea d’interpretazione, sostenuta dalla biografia redatta da Mack Smith, è quella che da subito mi è sembrata più affine all’impressione che mi ero fatto sul personaggio. Era anche la lettura che più si prestava ad offrire chiavi di lettura umoristiche, visto che niente è più tragicomico di un ottimista alle prese con la cruda e spietata realtà.
Qual è la tavola che ti sei divertito a realizzare?
Diciamo che, principalmente, nel corso del libro l’umorismo è entrato in tre maniere: nell’imitare in maniera farsesca il tono altisonante della retorica ottocentesca (alcuni brani che ho incluso tratti da “Cuore” di De Amicis sono spassosissimi se letti con l’occhio disincantato di oggi), nel giocare sul contrasto tra slancio eroico e misera realtà dei fatti (come nelle pagine sul ferimento alla gamba in Aspromonte) e nell’attribuire agli eroi di centocinquant’anni fa dei comportamenti, dei tic, delle abitudini proprie del nostro vivere contemporaneo (come nella partenza dei Mille da Quarto, con i garibaldini che si preoccupano di aver portato lo spazzolino, come degli odierni turisti). Succede però anche che, ritraendo personaggi storici celebri con i tratti cartooneschi, questi pian piano assumano un’identità propria e reclamino attenzione per delle divagazioni non previste:
Sei stato invitato in alcune città per presentare il tuo volume vuoi raccontare come ti hanno accolto?
Ho girato un po’ tutto lo stivale e ogni città rispondeva un po’ a modo suo, ciascuna ha qualcosa da dire in merito e in molte rivendicano la paternità per alcuni aspetti delle vicende garibaldine. Ad esempio a Pisa una targa sul lungarno ricorda che lì attraccò la barca che portava il Generale a curarsi la gamba ferita in Aspromonte (ai tempi evidentemente non si badava tanto alle distanze e al restare feriti per periodi prolungati), e giusto accanto a casa mia c’è la casa dei fratelli Rossetti dove si nascose Mazzini in clandestinità (adesso, per un’ingiustizia burocratica, casa dei Rossetti è intitolata a Mazzini, e ai poveri fratelli hanno intitolato una stradina in periferia). Tra le varie tappe del mio tour promozional-patriottico, ricordo con piacere l’importante serata organizzata da Fahrenheit a Reggio Emilia (patria del tricolore), ma anche la ruspante rievocazione equestre dell’incontro di Teano che ha accompagnato un mio incontro di presentazione a Cascina (PI), con due impiegati comunali come provetti cavallerizzi e cosplayers di Re Vittorio Emanuele II e di Giuseppe Garibaldi. Degne di nota anche la chiacchierata cesenate con presunti accoliti mazziniani in ultima fila, nonché la cioccolateria sabauda con busti risorgimentali pralinati, situata a fianco all’amica fumetteria Belleville a Torino.
Parlando di Garibaldi hai voluto parlare un po’ dell’Italia (o degli italiani) di oggi, sbaglio?
Nel libro c’è forse solo una parte esplicitamente satirica a tema secessionista, quando all’indomani della proclamazione dell’unità d’Italia, già i politici si accapigliano per decidere quale pietanza regionale debba essere l’emblema della nuova nazione. Ci sono però in effetti, sparse nel libro, anche un po’ di notazioni sul carattere degli italiani, poco inclini all’epica e ben disposti a farsi da parte quando c’è già qualcuno che s’incarica di fare l’eroe.
Questo genere di personalità possono ancora attirare il pubblico giovane?
Mentre lavoravo a questo libro, progressivamente mi rendevo conto di quanto l’occasione del centocinquantenario avesse ridestato la consapevolezza collettiva (o almeno l’attenzione) attorno a questo argomento. Lo scopo delle celebrazioni storiche, al di là del far vendere qualche libro, dovrebbe esser quello di rileggere i fatti del passato con la sensibilità di oggi, e in questo modo di riportarli in vita: se i ricordi scolastici ci evocano polverosi resoconti storici da museo, fa impressione scoprire invece che gran parte dei protagonisti di queste storie erano ragazzi, e che Goffredo Mameli l’inno italiano lo comporrà poco prima di morire a ventidue anni. Il tentativo che cerco di portare avanti con queste biografie storiche semiserie, è proprio quello di togliere gli eroi dal piedistallo e scuoter loro un po’ di polvere di dosso, in modo da poterci parlare direttamente senza tanti fronzoli. E se nel far questo mi prendo un po’ gioco di loro, credo non se ne avranno troppo a male, lo sanno che lo faccio per simpatia!
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