Koreeda Hirokazu's Going My Home - Episode 1 (是枝裕和のゴーイング マイ ホーム 第一話)

Creato il 12 giugno 2013 da Makoto @makotoster


Going my Home - Episodio 1.  Regia e sceneggiatura: Koreeda Hirokazu. Musica: Makihara Noriyuki. Interpreti e personaggi: Abe Hiroshi (Tsuboi Ryota), Yamaguchi Tomoko (Tsuboi Sae), Makita Aju (Tsuboi Moe), Miyazaki Aoi (Shimojima Naho), YOU (Ito Takiko), Yasuda Ken (Ito Kenji), Arai Hirofumi (Sanada Shun), Bakarhythm (Kobayashi Satoru), Natsuyagi Isao (Tsuboi Eisuke), Abe Sadao (Tokunaga Taro), Yoshiyuki Kazuko (Tsuboi Toshiko), Nishida Toshiyuki (Torii Osamu). Produzione: Toyofuku Yoko, Kumagai Kiichi. Durata: 100’. Periodo di trasmissione della serie alla tv giapponese: 9 Ottobre 2012- 18 Dicembre 2012.
Link: Sito ufficiale
Ryota è un impiegato e padre di famiglia. La moglie si occupa di cucina (nel senso che prepara splendidi manicaretti che poi vengono fotografati per riviste o utilizzati in programmi televisivi); la figlia, Moe, è una bambina tranquilla e ben educata, che peraltro “vede” attorno a sé creature immaginarie.
L’improvvisa malattia del padre fa si che Ryota si rechi al paese natale, dove si trovano la sorella e la madre. L’uomo si vede costretto da quel momento a dividere il proprio tempo tra gli impegni di lavoro (si occupa di marketing e pubblicità in una grande azienda), la vita quotidiana con moglie e figlia, e la propria famiglia di origine, in particolare con la madre e la sorella, nell’intervallo delle visite al padre in ospedale. È proprio durante una di queste visite che Ryota si imbatte in una misteriosa ragazza, che si reca a trovare l’anziano. I due fratelli insieme alla madre non riescono a trattenersi dal fare congetture sul rapporto del genitore, e marito, con la giovane: che sia una figlia nata da una relazione extraconiugale la cui esistenza è sempre stata tenuta nascosta? Nel frattempo trovano anche alcuni oggetti in una borsa del padre, come una piccola chiave e un libro nel quale sono sottolineate le sillabe “ku”, che sembrerebbero far pensare ad una vita parallela dell’uomo. Quasi per caso Ryota scopre poi che la ragazza misteriosa risulterebbe in effetti essere la figlia di un bizzarro dentista, molto amico di suo padre, con il quale questi condivideva la passione per la ricerca, proprio in quei luoghi, di una creatura dei boschi, una sorta di piccolo folletto, denominato “kuna”. L’episodio si chiude sul volto di un perplesso Ryota che domanda al padre, disteso immobile ed insensibile nel letto d’ospedale, quale fosse stata la ragione che lo aveva indotto a dedicarsi a quella insolita “caccia”: la possibilità di un ritorno economico o piuttosto… una donna?
Il primo episodio della serie propone da subito uno temi più classici di Koreeda: i rapporti di famiglia. Ryota si muove in quanto padre e marito nel proprio microcosmo quotidiano, allo stesso tempo è fratello e figlio e in quanto tale si creano per lui interessanti (e divertenti) interazioni con la famiglia d’origine, vale a dire con la madre e la sorella. Una prima notazione va fatta a mio avviso con riguardo al personaggio della figlia, la piccola Moe. Il regista sembra distanziarsi dalla figura del “bambino-saggio”, così frequente nei suoi ultimi film. Penso al riguardo non solo ai quattro indimenticabili fratelli di Nobody Knows, ma anche ai bambini in Still Walking o, per citare una delle ultime opere, ai due fratelli separati di I wish. Erano bambini equilibrati, saggi spesso molto più dei loro padri e delle loro madri, ma pur sempre portatori di quella ingenuità e freschezza tipica dell’infanzia. Al contrario Moe non riesce ad essere una bambina simpatica: dal primo momento ci appare supponente e infastidita. Al padre che le chiede se si sia divertita a scuola risponde impassibile: «divertirsi non è uno dei motivi per andare a scuola». Il suo atteggiamento fa da evidente contraltare all’entusiasmo infantile del padre, quasi il regista abbia voluto “giocare” ad un interessante esperimento di ribaltamento di ruoli: Ryota è un personaggio che ho trovato stupendo, un padre-bambino che sgrana occhi sorpresi di fronte agli eventi inspiegabili della vita, che si rapporta con disagio con la figlia-madre-maestra (gli sguardi perplessi di Abe Hiroshi rendono al meglio la situazione), che inscena senza riuscire a trattenersi, nello scompartimento di un treno, il salto di uno sciatore, come quando da bambino guardava la televisione e fantasticava. Ryota è tenero e comico al tempo stesso.
I rapporti con la sorella e la madre sembrano rimandare direttamente a Still Walking, ad un altro personaggio dal medesimo nome Ryota (interpretato sempre da Abe Hiroshi) e a quel tessuto di dialoghi familiari nei quali il regista è maestro. Le sequenze che riguardano la coppia madre-sorella sono a tratti esilaranti.
Un altro tema è quello della soprannaturalità. Il regista, qui più che in precedenti opere, sembra voler mettere in evidenza quanto dichiarato anche in recenti interviste, vale a dire di trovare « molto intrigante quel tipo di “religiosità” tradizionale tipicamente giapponese che individua la presenza della divinità in tutte le cose»: in questo primo episodio non si tratta in effetti di divinità in senso stretto, quanto di entrare nel campo dell’ultraterreno, dell’altro rispetto all’umano. Mi sembra al riguardo indicativo che proprio una delle primissime inquadrature, prima ancora dei titoli di testa, rimandi visivamente ad un evento soprannaturale di un precedente film, quello della “nascita” di Nozomi, la bambola gonfiabile che si trasforma in donna in carne ed ossa in Air Doll: là la ragazza “appariva” in forma umana davanti alla finestra mentre una misteriosa brezza si sollevava improvvisamente; qui, in Going my Home, la macchina da presa riprende dei panni stesi e, mentre si scorge la figura di Ryota che passa all’interno della casa, un vento analogamente improvviso li fa muovere.
Diversi poi i rimandi, disseminati nel corso dell’opera, sia ad altri precedenti film del regista, che ad opere del cinema giapponese classico. Il film inizia con Ryota che cerca di ricordare il nome di un attore degli anni Sessanta e durante tutto il film vi saranno accenni a stelle del cinema dello stesso periodo. Molti momenti familiari, attorno ad un tavolo, con la sorella e la madre – il gruppo di famiglia “inquadrato” dalle pareti di legno della casa - ripropongono analoghi momenti di Still Walking. Particolarmente significativo mi è parso poi uno dei dialoghi tra i due fratelli, che si ritrovano a discutere animatamente su chi dovrà occuparsi dei genitori anziani: un chiaro rimando, mi sembra, a Fratelli e sorelle della famiglia Toda, film del 1941 di Ozu Yasujiro. [Claudia Bertolè]

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