Primo round dei nuovi colloqui tra
Belgrado e Pristina (Foto Beta)
Il calendario dei colloqui, che si svolgeranno a Bruxelles con la mediazione dell'Ue, rappresentata da Robert Cooper, consigliere speciale dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, prevede incontri con cadenza trisettimanale e i primi risultati sono attesi non prima di un anno. L'avvio dei colloqui è stata al momento praticamente simbolica: "Il dialogo inizierà ufficialmente solo quando il parlamento di Pristina adotterà una risoluzione in merito", ha dichiarato in un'intervista alla Deutsche Welle, il capo negoziatore kosovaro, Edita Tahiri, aggiungendo che, in ogni caso, "l'indipendenza del Kosovo ad ogni costo non deve essere messa in discussione durante il dialogo con Belgrado".
"Non bisogna aspettarsi miracoli", ha detto da parte sua il capo negoziatore serbo, Borko Stefanovic, concedendo che "è stato stabilito un primo grado di fiducia", ma facendo anche osservare che i kosovari hanno "tentato di imporre delle differenze terminologiche e narrative frutto della loro interpretazione della storia recente”. Per questo, ha aggiunto Stefanovic, “non abbiamo concesso alcuna deviazione nel dialogo, rimuovendo le differenze che la controparte ha spesso tentato di presentare, concentrandoci sulle cose più importanti per il benessere della popolazione in Kosovo". Le “questioni tecniche” riguardano, infatti, prima di tutto la spinosissima questione del Nord del Kosovo, dove la popolazione in maggioranza serba è rimasta fedele a Belgrado e non intende riconoscere le istituzioni di Pristina.
A Pristina l'avvio dei negoziati avviene in un momento in cui il quadro politico interno appare particolarmente fragile: il governo del riconfermato premier Hashim Thaci si fonda sull'accordo di coalizione tra il partito di Thaci e quello del discusso magnate Behgjet Pacolli che, in cambio dell'appoggio, ha ottenuto la carica di presidente della repubblica. A livello internazionale la credibilità di Thaci è poi pesantemente intaccata dalle gravissime accuse contenute nel dossier del Consiglio d'Europa che imputano al premier kosovaro il coinvolgimento nel presunto traffico di organi umani di cui sarebbero stati vittime prigionieri serbi e no durante il conflitto del 1999.
Sul territorio restano tutte le tensioni di natura etnica: sabato scorso c'è stato l'omicidio di un quattordicenne albanese che dai primi riscontri sarebbe stato ucciso da un serbo. E mentre si attende che il parlamento kosovaro adotti la risoluzione che dia un mandato preciso ai propri negoziatori sulla linea da adottare nei colloqui con Belgrado, l'opposizione kosovara annuncia battaglia: "Non sono morti per questo dialogo", recitava uno striscione esposto durante una cerimonia di commemorazione di martiri della guerra di liberazione. Belgrado da parte sua fa mostra di essere comprensiva: "Dobbiamo capirli, le cose non sono semplici e dobbiamo avere pazienza" ha dichiarato Stefanovic al quotidiano serbo Blic quasi volesse dire, prendiamoci il tempo necessario. Forse anche perché la gente in Serbia sembra più che altro preoccupata dai gravi problemi economici del Paese.
Insomma, il dialogo è ripartito, anche se non è chiaro per dove. Certo, è meglio parlarsi che spararsi addosso, anche se per dialogare, oltre che ad essere in due, occorre la volontà di stare a sentire.