Krugman: la Grecia è una vittima dell’euro, può salvarsi solo se cambia qualcosa a Berlino e Francoforte

Creato il 19 giugno 2012 da Keynesblog @keynesblog

di Paul Krugman, dal New York Times del 18 giugno 2012.

Da quando la Grecia ha iniziato a colare a picco, se ne sono sentite tante su cosa c’è che non va nel Paese ellenico e in tutto ciò che lo riguarda. Alcune delle accuse sono fondate, altre prive di fondamento, ma nessuna coglie nel segno. Sì, l’economia, la politica e senza dubbio anche la società greca sono caratterizzate da gravi mancanze. Ma non sono quelle mancanze ad aver causato la crisi che sta devastando la Grecia, e che minaccia di estendersi all’Europa intera.

No, l’origine di questo disastro è da ricercarsi molto più a nord, a Bruxelles, Francoforte e Berlino, laddove i funzionari hanno creato un sistema monetario profondamente – e forse inevitabilmente – imperfetto, e hanno poi aggravato i problemi di quel sistema sostituendo all’analisi il moralismo. E la soluzione alla crisi, se esiste, dovrà venire dagli stessi luoghi.

Dunque, tornando alle mancanze della Grecia: è vero che in Grecia ci sono parecchia corruzione ed evasione fiscale, e che il governo greco era solito vivere al di sopra dei propri mezzi. Oltre a questo, la produttività della manodopera in Grecia è bassa rispetto agli standard europei: all’incirca il 25% in meno della media. Vale la pena di sottolineare, però, che la produttività della manodopera, ad esempio in Mississippi, è analogamente bassa rispetto agli standard statunitensi, e in misura più o meno uguale.

D’altra parte, molte delle cose che sentite dire sulla Grecia semplicemente non sono vere. I greci non sono pigri – al contrario, lavorano più ore di quasi tutti gli altri popoli europei e, in particolare, molto di più dei tedeschi. E non è vero che la Grecia ha un sistema di welfare fuori controllo, come i conservatori amano ripetere; il rapporto tra spesa sociale e prodotto interno lordo, che è il criterio standard con cui si misura il peso della spesa sociale in un Paese, è considerevolmente più basso in Grecia di quanto non lo sia, ad esempio, in Svezia o Germania, due Paesi che fino ad oggi hanno resistito piuttosto bene alla crisi europea.

E allora com’è che la Grecia si è ridotta in questo stato? La colpa è dell’euro.

Quindici anni fa la Grecia non era un paradiso ma non era nemmeno in crisi. La disoccupazione era alta ma non a livelli catastrofici, e il Paese più o meno se la cavava sui mercati mondiali, guadagnando da esportazioni, turismo, spedizioni ed altre fonti abbastanza da riuscire a coprire il costo delle proprie importazioni.

Poi la Grecia è entrata nell’euro, ed è successa una cosa terribile: la gente ha iniziato a credere che si trattasse di un buon posto per investire. Capitali stranieri si sono riversati sulla Grecia, in parte a finanziare il debito pubblico; l’economia è esplosa; l’inflazione è salita; e la Grecia è diventata sempre meno competitiva. Certo, i greci hanno scialacquato molto se non quasi tutto il denaro che era rapidamente affluito nel Paese, ma è la stessa cosa che hanno fatto tutti coloro che si sono trovati coinvolti nella bolla dell’euro.

E poi la bolla è scoppiata, e a quel punto i difetti intrinseci dell’intero sistema euro sono divenuti fin troppo evidenti.

Chiedetevi perché l’area del dollaro – nota anche come Stati Uniti d’America – più o meno funziona, senza quel tipo di gravi crisi regionali che ora affliggono l’Europa. La risposta è che negli Stati Uniti abbiamo un governo centrale forte, le cui attività di fatto offrono un salvataggio automatico a quegli Stati che finiscono per essere in difficoltà.

Pensate, per esempio, a cosa starebbe avvenendo adesso in Florida se, a seguito dello scoppio dell’enorme bolla immobiliare, lo Stato della Florida dovesse trovare le risorse per coprire la spesa sociale prendendole dai propri introiti, ora ridotti. Per fortuna della Florida, è il governo di Washington e non quello locale di Tallahassee che sta pagando il conto, il che vuol dire che la Florida sta a tutti gli effetti ricevendo un salvataggio di dimensioni che nessun Paese europeo potrebbe sperare di ricevere.

Oppure, per fare un esempio più lontano nel tempo, pensate alla crisi del risparmio e dei prestiti degli anni ’80, che colpì principalmente il Texas. I contribuenti finirono per pagare un bel po’ di soldi per risolvere il problema, ma la maggior parte di loro si trovavano in Stati diversi dal Texas. Anche in questo caso, lo Stato del Texas ricevette un salvataggio automatico di dimensioni inconcepibili nell’Europa di oggi.

Quindi la Grecia, che pure non è senza peccato, è nei guai soprattutto grazie all’arroganza dei funzionari europei, che provengono in gran parte dai Paesi più ricchi, che si sono convinti di poter far funzionare una moneta unica senza avere un governo unico. E questi stessi funzionari hanno persino peggiorato la situazione insistendo, nonostante l’evidenza, che tutti i problemi della moneta unica sono dovuti al comportamento irresponsabile di quei popoli dell’Europa meridionale, e che tutto si risolverebbe se solo la gente fosse disposta a soffrire un po’ di più.

E arriviamo fino alle elezioni greche di domenica, che hanno finito per non risolvere nulla. La coalizione di governo potrebbe essere riuscita a rimanere al potere, anche se non è chiaro nemmeno quello (il partner di minoranza minaccia di tirarsi indietro dalla coalizione). Ma i greci non possono comunque risolvere la crisi.

L’unico modo in cui si potrebbe – sottolineo potrebbe – salvare l’euro sarebbe che i tedeschi e la Banca Centrale Europea si rendessero conto che sono loro a dover cambiare approccio, spendere di più e, sì, accettare un tasso d’inflazione più alto. Se questo non avviene, allora per farla breve la Grecia resterà nei libri di storia come la vittima della superbia di altri.

Traduzione, ilcorsaro.info


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