di Gabriele Merlini
Tuttavia stavolta risulta necessario fare uno strappo e ammettere quanto HHhH (Einaudi Frontiere, 2011) sia un riuscito romanzo storico – ma ogni definizione scivola da queste parti – e l’autore, Laurent Binet, tra quelli da tenere d’occhio per agilità e competenza.
Il plot lo riassumo in poche righe, non essendo di fatto l’aspetto portante dell’opera: nascita, vita (breve) e morte (ben congegnata) di Reinhard Heydrich, papavero del Reich detto «il Macellaio» o «il Boia di Praga» per questa sua innegabile tendenza ad organizzare l’orrore standosene di stanza nella capitale boema, più o meno atteggiandosi a re. Incaricati di farlo secco un ceco e uno slovacco - Jozef Gabčík e Jan Kubiš – nel contesto di contingenze tra le meno agevoli della storia recente.
E proprio la capacità nel descrivere quegli anni, genesi e sviluppo della macchina, nonché lo stile utilizzato (piuttosto distante dalla saggistica vera e propria ma anche dalla narrativa a tema) rappresenta la chiave della riuscita del progetto: informazioni raccolte e riproposte non attraverso gli usuali dettami dello studioso/culture ma con una singolare metodologia in fieri per l’accumulo di competenze, certo astuta in un testo del genere. Esempio: prima seguitemi nell’acquisto online di un volume sulla Seconda Guerra Mondiale, poi aspettate che lo legga, quindi sentite cosa ho da dirci. Risultato: un puzzle moderno, direbbe qualcuno, capace di illustrare a quanti non lo sapessero come sia stata centrale la vicenda ceca e slovacca non solo a ridosso del periodo ma nell’intero Novecento. Non solo per l’Europa centrale ma per l’intero equilibrio mondiale. Quanto risultino essenziali le figura di Tomáš Masaryk e Edvard Beneš, e detestabili le controparti tedesche, anni luce distanti dall’umanesimo che permeava buona fetta dei politici a Praga o cecoslovacchi in esilio a Londra (chi più e chi meno: limitiamoci a dire -e HHhH lo sottolinea- che Milan Hodža non brillò per schiena dritta in quegli anni, chiudendo gli occhi davanti ai blindati del Reich rombanti per Karmelitská.)
Il tutto con l’oscena figura di Heydrich a fare da perno attorno cui organizzare la narrazione. Poiché come già scritto, al netto del ruolo imprescindibile che ricopre, il nucleo del libro non è rappresentato da Heydrich quanto dallo scenario nel quale è stato ficcato e che fattivamente ha contribuito a creare con le proprie funzionali caratteristiche. Cito dal testo, nonostante alcuni sensibili problemi di virgolette che risolverò con corsivi inventati. Dice Binet: «quando parlo del libro che sto scrivendo, dico il mio libro su Heydrich. Eppure Heydrich non dovrebbe essere il protagonista. Da quando porto in me questo libro, e sono anni, non ho mai pensato di intitolarlo diversamente da Operazione Antropoide (e se per caso non è il titolo che leggete sulla copertina, sapete che mi sono arreso all’editore a cui non piaceva granché: faceva troppo fantascienza, troppo Robert Ludlum, a quanto pare…). Heydrich è l’obiettivo, non l’attore della operazione. Tutto ciò che racconto su di lui ha lo scopo di delineare lo scenario. Ma bisogna ammettere che, da un punto di vista letterario, Heydrich è un bel personaggio. E’ come se un dottor Frankenstein romanziere avesse partorito una creatura terrificante ispirandosi ai più grandi mostri della letteratura. Tranne che Heydrich non è un mostro di carta.»