Un incontro occasionale, provocato dall’ascolto in piena comunione di un disco di prossima uscita, termina con un regalo, quello che Matthias Sheller fa a me e ad Angelo De Negri, quando ci passa una chicca, uno di quegli album che fanno la felicità di chi li scopre, non tanto per un fatto commerciale - il prog resta comunque prodotto che fa poca cassetta - ma per la gioia di aver dato nuova vita e prima visibilità ad una musica creata quarant’anni fa, e rimasta in un ripostiglio in attesa di un atto coraggioso o di un colpo fortunato. Era il 1974, uno degli anni più felici per quella musica che in quei giorni coinvolgeva un enorme pubblico ed era oggetto di largo ascolto. Un gruppo di ragazzi ci prova, affascinato della creazione complessa, sulla scia dei grandi esempi d’oltremanica. Sono tanti in Italia quelli che subiscono la contaminazione, ma per emergere serve comunque un’occasione, una scintilla che scocca, una conoscenza utile … magari solo un po’ di buona sorte. I Kundalini Shakti Devi ci provano e ci riescono, perché la materia sgorga con fluidità, ma viene a mancare la finalizzazione, quell’album che a posteriori possiamo dire sarebbe rimasto nella storia, come esempio di musica progressiva nostrana, costruita ed eseguita rispecchiando i canoni dell’epoca (Museo Rosenbach insegna). Tutto finisce in cantina o soffitta o chissà dove, sino a che il cerchio trova la sua fermatura e tutti i pezzi del mosaico realizzano la figura idealizzata e mai composta per intero. Sheller, da appassionato di musica, permette la coronazione di un sogno, forse anche suo, e l’album prende vita. Il disco si compone di tre brani lunghi, per un totale di quarantasette minuti che odorano di anni lontani. Non è la conoscenza del punto di inizio che può influenzare, giacché la musica ideata da Roberto Paramhansa Puddu e amici, nel 1974, ha qualcosa che si può ritrovare anche in alcune composizioni di giovani musicisti degli anni 2000 che popolano la penisola. Ma la cosa che colpisce è trovare attuale un prodotto che ha vissuto come ibernato, e che a seguito di scongelamento improvviso ripropone i pensieri, le idee, la filosofia di vita e le speranze di un ensemble umano che miracolosamente si ritrova attraverso il collante più potente che possa esistere: la musica e la passione che spinge e viverla. Le liriche sono il simbolo di come eravamo: denuncia sociale, sogni, amori, mondi irreali… La tecnologia ha poi permesso di rendere attuale l’ascolto, attraverso l’opera di digitalizzazione delle vecchie bobine. Da chi hanno tratto ispirazione i Kundalini Shakti Devi? L’utilizzo del sax e certe atmosfere rarefatte riconducono ai Van Der Graaf, probabilmente un amore da seguire, ma le influenze si allargano e gli spunti originali rendono il disco un “pezzo” unico, non comparabile a nessun altro che io ricordi dell’epoca. Invito il lettore ad ascoltare il brano proposto a fine post e a leggere attentamente la lista degli strumenti utilizzati… da lacrime agli occhi! Art work godibile, con liriche, storia e foto vintage. Un disco da pubblicizzare, da fare conoscere e magari da proporre dal vivo.
Un incontro occasionale, provocato dall’ascolto in piena comunione di un disco di prossima uscita, termina con un regalo, quello che Matthias Sheller fa a me e ad Angelo De Negri, quando ci passa una chicca, uno di quegli album che fanno la felicità di chi li scopre, non tanto per un fatto commerciale - il prog resta comunque prodotto che fa poca cassetta - ma per la gioia di aver dato nuova vita e prima visibilità ad una musica creata quarant’anni fa, e rimasta in un ripostiglio in attesa di un atto coraggioso o di un colpo fortunato. Era il 1974, uno degli anni più felici per quella musica che in quei giorni coinvolgeva un enorme pubblico ed era oggetto di largo ascolto. Un gruppo di ragazzi ci prova, affascinato della creazione complessa, sulla scia dei grandi esempi d’oltremanica. Sono tanti in Italia quelli che subiscono la contaminazione, ma per emergere serve comunque un’occasione, una scintilla che scocca, una conoscenza utile … magari solo un po’ di buona sorte. I Kundalini Shakti Devi ci provano e ci riescono, perché la materia sgorga con fluidità, ma viene a mancare la finalizzazione, quell’album che a posteriori possiamo dire sarebbe rimasto nella storia, come esempio di musica progressiva nostrana, costruita ed eseguita rispecchiando i canoni dell’epoca (Museo Rosenbach insegna). Tutto finisce in cantina o soffitta o chissà dove, sino a che il cerchio trova la sua fermatura e tutti i pezzi del mosaico realizzano la figura idealizzata e mai composta per intero. Sheller, da appassionato di musica, permette la coronazione di un sogno, forse anche suo, e l’album prende vita. Il disco si compone di tre brani lunghi, per un totale di quarantasette minuti che odorano di anni lontani. Non è la conoscenza del punto di inizio che può influenzare, giacché la musica ideata da Roberto Paramhansa Puddu e amici, nel 1974, ha qualcosa che si può ritrovare anche in alcune composizioni di giovani musicisti degli anni 2000 che popolano la penisola. Ma la cosa che colpisce è trovare attuale un prodotto che ha vissuto come ibernato, e che a seguito di scongelamento improvviso ripropone i pensieri, le idee, la filosofia di vita e le speranze di un ensemble umano che miracolosamente si ritrova attraverso il collante più potente che possa esistere: la musica e la passione che spinge e viverla. Le liriche sono il simbolo di come eravamo: denuncia sociale, sogni, amori, mondi irreali… La tecnologia ha poi permesso di rendere attuale l’ascolto, attraverso l’opera di digitalizzazione delle vecchie bobine. Da chi hanno tratto ispirazione i Kundalini Shakti Devi? L’utilizzo del sax e certe atmosfere rarefatte riconducono ai Van Der Graaf, probabilmente un amore da seguire, ma le influenze si allargano e gli spunti originali rendono il disco un “pezzo” unico, non comparabile a nessun altro che io ricordi dell’epoca. Invito il lettore ad ascoltare il brano proposto a fine post e a leggere attentamente la lista degli strumenti utilizzati… da lacrime agli occhi! Art work godibile, con liriche, storia e foto vintage. Un disco da pubblicizzare, da fare conoscere e magari da proporre dal vivo.
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