Continua il Viaggio nel Paese del Sol Levante
Mi riservo di scrivere sul museo di artigianato in un altro articolo, concentrandomi sugli altri due (tematicamente più vicini) in questo.
Questo museo si trova sul retro di un negozio di giocattoli, quindi può essere difficile trovarlo (o meglio, capita di trovarlo, accorgersi di essere entrati in un negozio, pensare di essersi sbagliati e uscire). Se non c’è nessuno al bancone accanto all’ingresso del museo vero e proprio, chiedete ai negozianti e vi venderanno il biglietto, consegnandovi un minuscolo volantino in inglese che spiega il contenuto delle varie stanze e una carta con le istruzioni per un origami.
La prima sala (di quattro) è l’unica che si può fotografare, ed anche forse la più variegata: contiene giocattoli antichi di tutte le prefetture giapponesi. Su ogni vetrina è incollata una mappa che indica da quale parte del Giappone arrivino i giocattoli, ma a parte questo non ci sono altre scritte… Cosa che, considerato che in quasi tutti i musei le scritte sono al 95% prive di traduzione in Inglese, è quasi un bene: almeno non vi sembra di essere visitatori di seconda classe.
Le altre sale contengono collezioni di bambole e di aquiloni, ma non in tutte le stanze si possono scattare fotografie, anche se non ne ho chiaro il motivo. Forse le altre stanze sono più scure e si teme che i visitatori possano voler usare il flash delle loro macchine fotografiche. I giocattoli vanno da semplici intagli in legno a bambole raffinate e aquiloni, che però si trovavano soprattutto nelle stanze in cui era vietato fare fotografie.
In ogni caso, è stata la prima stanza, con la sua divisione dei giochi per regioni, che mi ha fatto desiderare di conoscere di più il Giappone, per potere riconoscere quelle che erano chiaramente figure di storie e leggende.
Questo genere di divisione regionale sembra qualcosa di davvero interessante per un intenditore, perché basta guardare le vetrine per rendersi conto come questo deve essere dipeso sia da una grande quantità di fattori: la differenza delle tecniche di artigianato note e utilizzate, ma anche probabilmente favole e personaggi che erano tipici di una regione e non di un’altra, come per altro avviene spesso anche in Italia. Per avere un’idea della differenza basta comparare queste figure laccate sulla destra, provenienti da Hiroshima, con il drago di legno (e il gatto) dell’immagine precedente.
Per quanto questo museo non sia una delle cose “imperdibili” del Giappone, se siete a Kurashiki e avete un po’ di tempo libero può valere la pena di vederlo. Sicuramente l’ho trovato più interessante e ricco di cultura del (ben più costoso) museo dell’artigianato. C’è da dire però che l’edificio in cui si trova il museo dell’artigianato è di per sé molto bello e, dicono, di interesse storico/architettonico, essendo del periodo Edo.
Il museo contiene anche alcune mascere da Hyottoko! Lo stesso Hyottoko del Hyottoko Matsuri di cui ho già parlato, dove sono andata a fare volantinaggio mentre ero al campo di volontariato. La maschera accanto è quella di Otafuku, il suo equivalente femminile (sono nella prima stanza).
Museo di Momotaro
Per i bambini è consigliato soprattutto perché estremamente interattivo: le guide vi mostreranno le varie illusioni ottiche che riempiono il museo, arrivando infine (almeno nel nostro caso) ad improvvisare un concerto suonando “strumenti commestibili”, come un flauto ricavato da una radice cava molto usata nella cucina giapponese.
Ma chi è Momotaro?
Momotaro, il ragazzo pesca, è il protagonista di una famosissima fiaba giapponese del periodo Edo (che va dal 1603 al 1869, quindi questa forse è un’indicazione un po’ generica. Il libro fotografato qui affianco è del 1781) .
Vuole la leggenda che un giorno un’anziana donna che non aveva avuto figli e che si era recata al fiume per lavare i panni: vedendo una gigantesca pesca che galleggiava nel fiume la ripescò e insieme al marito cercò di aprirla per mangiarla: ma da questa venne fuori Momotaro, che spiegò loro di essere stato inviato dal cielo per essere loro figlio. Una volta cresciuto, il ragazzo lasciò la famiglia per andare ad affrontare gli oni (creature a metà strada fra i nostri demoni e gli orchi). Lungo la strada incontrò un cane, una scimmia e un fagiano, che lo seguirono per aiutarlo nella sua missione. Insieme ai suoi amici animali, Momotaro penetrò nel forte di Ura, il capo degli oni, e lo costrinse alla resa e ne prese il tesoro, con cui visse negli agi insieme alla sua famiglia.
Il secondo piano del museo contiene materiale un po’ più “storico”, come questa illustrazione del 1882, raffigurante Momotaro e i suoi fedeli compagni.