L’ho già detto che in questo blog parlo di quello che pare a me? E non m’importa di saltare di palo in frasca fra un articolo e l’altro, a volte lo faccio anche nei singoli pezzi. La professionalità la lascio a FantasyMagazine dove ieri, per esempio, ho pubblicato un articolo serio sui premi Emmy 2013: http://www.fantasymagazine.it/notizie/19782/game-of-thrones-bocciato-agli-emmy/. La notizia, per noi, era che Game of Thrones non aveva vinto. Io sono andata sul sito ufficiale, ho controllato vincitori e finalisti e stilato un articolo tecnicamente impeccabile e terribilmente noioso da scrivere e forse anche da leggere. Magari conoscendo i telefilm e gli attori è interessante, ma per me sono solo nomi. Buuu! E buuu Anche perché Game of Thrones non ha vinto.
Sempre ieri sul blog ho parlato del Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, bellissimo romanzo che ormai viene considerato un classico, anche se sono riuscita a parlarne divagando in maniera notevole. Ora faccio un altro salto per parlare di un libro che sto leggendo, ma il libro è solo una scusa perché in fondo il mio blog si chiama librolandia e così per una volta posso far finta di restare in tema.
Premetto che il nome librolandia è dovuto a un caso. Quando avevo iniziato a pensare di aprire un blog ci avevo riflettuto parecchio e avevo deciso di chiamarlo frammenti. È un nome abbastanza ampio, ci può stare dentro di tutto, ed era un mettere le mani avanti se avessi scritto articoli che contenevano frammenti di svariati argomenti, come di fatto sto facendo, o se fossero stati più frammentari come forma di quel che invece sto facendo. Solo che quel nome lo aveva già scelto qualcun altro, come ho scoperto nel momento in cui ho provato a registrare il mio blog. Allora ho provato un secondo nome, non ricordo più quale, e anche quello è risultato essere occupato. A quel punto mi è venuto in mente uno striscione che i tifosi romani esponevano al Foro Italico quando vi giocava Gabriela Sabatini: Benvenuti a Gabylandia. Non ho mai tifato per la Sabatini, anche se la sua vittoria agli Open degli Stati Uniti del 1990 è stata spettacolare, ma quello striscione mi piaceva molto. Era simpatico, e sottolineava come la tennista argentina sembrava davvero di casa al Torneo di Roma. E quindi… fantasylandia? No, troppo ristretto, sapevo fin dall’inizio che non avrei parlato solo di fantasy. Ho provato librolandia, convinta che anche quel nome fosse già occupato e invece eccomi qua, con un’etichetta che mi sento sempre un po’ troppo stretta.
Il libro di oggi di fatto è un libro, ma in realtà è un pretesto per parlare di una delle mie passioni, come già avevo iniziato a fare il mese scorso. Due giorni fa per voi, ma ieri per me che scrivo, dopo oltre un mese di attesa (e una settimana di ritardo), ho ricevuto a casa Kurt. Forcing the Edge di Kurt Browning. Naturalmente ho iniziato subito la lettura, e ora sono quasi a metà. Il principale difetto del libro? Si ferma al 1991, perciò manca tutto quello che Kurt ha fatto dopo. Per la verità esiste una versione aggiornata contenente quattro capitoli in più dedicati al 1992, ma entrambe le versioni sono fuori catalogo e Amazon.com, l’unico che lo ha in vendita, a quanto pare non fa spedizioni in Italia. Ho dovuto accontentarmi della versione di Amazon.it. Comunque è meglio di niente.
A volte guardo storto chi compra le autobiografie degli sportivi, soprattutto se sono di calciatori. Non amo il calcio, in particolar modo da quell’anno in cui sono rimasta bloccata, con il pullman che mi riportava a casa, nel traffico dell’uscita di San Siro non so quante volte. Io uscivo dall’Università dopo il corso di francese, volevo solo andare a riposarmi o a studiare, i tifosi uscivano dallo stadio – mercoledì pomeriggio, era uno degli anni che il Milan di Sacchi ha vinto la Coppa dei Campioni – e regolarmente mi ritrovavo a impiegare due ore per un tragitto che in condizioni normali si fa in un quarto d’ora. Da quel momento io e il calcio, in particolare con le squadre milanesi, non andiamo molto d’accordo. Il problema delle autobiografie degli sportivi però è un altro. Ciascuno ha diritto alle proprie passioni (purché non mi venga a rompere le scatole). Se una persona legge una decina di libri l’anno e uno di questi è l’autobiografia di uno sportivo mi sta bene. Io ne leggo di più, fra i 50 e gli 80 l’anno a seconda del tempo che ho a disposizione e dei libri che scelgo di leggere, ma riconosco di essere sono un caso un po’ a parte. Se quella persona legge un solo libro ogni tre anni e invariabilmente è l’autobiografia di uno sportivo o di un personaggio dello spettacolo ecco che la inizio a guardare un po’ storto.
Di biografie, o autobiografie, di sportivi ne ho lette diverse, anche se nessuna era incentrata sui miei atleti preferiti. La prima è stata …Però, Zanardi da Castel Maggiore! di Alex Zanardi. Lavoravo già in libreria, suppongo sia stato questo a portare la mia attenzione sulle biografie degli sportivi anche se in precedenza avevo sempre ignorato il genere. Non sono mai stata una fan di Zanardi, io ho seguito la Formula 1 dal 1983 al 1991, e Alex è arrivato proprio alla fine di quel periodo, uno dei tanti esordienti, e ha lasciato ben poche tracce. I risultati importanti li ha conseguiti nella Cart, che invece non ho mai seguito. Sapevo che esisteva un pilota con quel nome, ma il mio primo vero ricordo suo è l’incidente in cui ha perso le gambe. Spaventoso. Dopo ho l’ho visto protagonista di numerosi servizi e trasmissioni televisive, e sono rimasta impressionata dalla sua forza di volontà e anche dalla sua gioia di vivere. Per me è diventato un mito, anche se lo ha fatto come uomo e non come sportivo. Ovvio che ora tiferò sempre per lui, qualsiasi sia l’impresa in cui deciderà d’imbarcarsi. L’autobiografia me lo ha fatto conoscere meglio, ed è stata una bella lettura.
Poi è arrivato 500 anni di tennis di Gianni Clerici. Il tennis è uno sport che seguo dal 1988, più o meno dalla semifinale del Roland Garros in cui Mats Wilander ha battuto Andre Agassi. In precedenza so di aver visto spezzoni della semifinale dell’Australian Open del 1985 in cui Stefan Edberg ha battuto Ivan Lendl, ma purtroppo (e incredibilmente) quella partita non era stata sufficiente a convincermi a seguire il tennis, anche se il nome di Edberg mi era rimasto in mente. Nel 1988 però ho visto Stefan battere sia Miroslav Mecir che Boris Becker a Wimbledon e sono immediatamente diventata una sua tifosa. Ascoltando Gianni Clerici commentare innumerevoli partite insieme al suo partner abituale Rino Tommasi ho sentito parlare di questo libro e mi sono incuriosita. Ovvio che alla prima occasione utile, quando è stato ristampato, l’ho comprato anche se il suo prezzo è piuttosto alto. Secondo me comunque quei soldi li vale tutti. La parte fotografica è notevole, e le spiegazioni di Clerici interessantissime. Per anni ho comprato Matchball e Il tennis italiano, più svariate altre riviste in occasione di vittorie particolarmente importanti o della presenza all’interno delle riviste stesse di determinate interviste o di alcuni tipi di servizi storici e/o statistici. Tutte cose affascinanti, tanto è vero che sono riuscita a diventare una fan di Billie Jean King semplicemente leggendo un paio di articoli su di lei, ma mi mancava il quadro d’insieme. Clerici lo fornisce, ed è meraviglioso.
Quindi sono passata a Semplicemente Jury, di Jury Chechi. In teoria io non sono una tifosa di Chechi. L’ho visto a un Gran prix di ginnastica nel 1992, prima che si facesse male e fosse costretto a saltare le Olimpiadi, ma più o meno lo guardavo perché lui era lì in pedana e io sugli spalti. Ero molto più interessata a Lavinia Milosovici, che di lì a poco avrebbe vinto quattro medaglie olimpiche e altre due ne avrebbe conquistate quattro anni più tardi. Ma anche Lavinia era solo un ripiego, il mio grande amore era Daniela Silivas. Vederla alle Olimpiadi del 1988 e innamorarmene è stato tutt’uno, da quel momento per me la ginnastica artistica veste i colori della Romania. Solo che Daniela si è ritirata nel 1989 a causa di un infortunio e della chiusura del centro sportivo in cui si allenava e quindi ho dovuto ripiegare su qualcun altro. Sempre ginnastica femminile però, delle discipline maschili mi piacciono sbarra e parallele, le altre molto meno. Chechi è stato un campione agli anelli, specialità che non amo. Certo, nel 1992 era forte a livello assoluto, se non si fosse fatto male chissà quali risultati avrebbe potuto ottenere. Una volta rientrato ha iniziato a vincere con una frequenza – e con una potenza – impressionanti. In genere non amo gli anelli. In genere, perché quando era lui a salire in pedana era tuta un’altra cosa. Avete presente la sua croce? Ferma, eterna, fatta con la massima naturalezza. Nel galà olimpico del 1996 è persino riuscito a salutare il pubblico, quando un qualsiasi altro ginnasta sarebbe stato troppo impegnato a cercare di restare su per pensare a scherzare. E le combinazioni degli altri movimenti? I trionfi successivi se li è davvero meritati. E anche nel suo racconto ci sono state cose interessanti. Noi li vediamo dall’esterno, ma cosa hanno dovuto passare questi atleti straordinari per arrivare dove sono arrivati?
Essere John McEnroe di Tim Adams non è un’autobiografia ma un viaggio nella mente di uno dei tennisti più geniali e folli mai vissuti compiuto da un giornalista. Ho scritto geniale, perché nel modo di adoperare la racchetta John McEnroe lo era, ma questo libro avrei potuto fare a meno di leggerlo. Amo il serve & volley, ma per me l’educazione è una cosa da cui non si prescinde. Le poche volte che l’ho guardato John è riuscito sempre a irritarmi nel giro di una manciata di minuti, e un tentativo di capirne le motivazioni non è esattamente una cosa che mi interessi molto.
Il tennis comunque non l’ho lasciato visto che, non potendola comprare, ho cercato in biblioteca l’autobiografia di Martina Navratilova Io Martina. È un peccato che si fermi al 1983, ha fatto in tempo a parlare della toxoplasmosi, incubo della maggior parte delle future mamme e a quanto pare parecchio fastidiosa anche per una sportiva, ma mancano tanti anni e tanti successi arrivati dopo. Anche così è affascinante, aveva ragione Tommasi quando parlava bene di questo libro. Io ho seguito la carriera di Martina molto tardi, il tennis femminile ho iniziato a seguirlo un anno dopo quello maschile, quando ormai la regina era Steffi Graf, ma per me la più forte di sempre è e resterà Martina. Anche se più che per lei tifavo per Jana Novotna, ma questa è un’altra storia.
Storia completamente diversa per Monica Seles con il suo Ho ripreso il controllo. Se di Martina ammiravo comunque il gioco, di Monica potevo ammirare la forza di volontà, non certo i gesti. Ricordo molto bene l’episodio della coltellata, quando ho sentito la notizia al telegiornale sono rimasta di sasso. Non ho gradito neppure che le altre tenniste l’abbiano un po’ snobbata. Capisco che non era colpa loro, ma un po’ più vicine potevano starle. E poi c’è stata la morte del padre, e il ritorno in gara, propiziato dalla Navratilova, con un certo numero di chili di troppo. Tutte cose che sapevo per averle lette sui giornali nel momento in cui si verificavano, ma leggere un resoconto esterno e conoscere i pensieri di chi ha vissuto quegli avvenimenti sono due cose ben diverse. Sono stata contenta di vedere come alla fine Monica sia stata capace di riprendere il controllo. Di questo libro ho scritto una vera e propria recensione: http://librolandia.wordpress.com/2011/01/05/monica-seles-ho-ripreso-il-controllo/.
Fra i libri che mi vengono regolarmente richiesti c’è Roger Federer come esperienza religiosa di David Foster Wallace. Quel libro, in realtà un lungo articolo di giornale, è fuori catalogo, ma quel testo si può trovare insieme a un altro in Il tennis come esperienza religiosa, libro che forse leggerò e forse no. Mai tifato per Roger Federer. Bel rovescio ma per i miei gusti va troppo poco a rete e non si muove nel modo giusto. Lo so che il tennis è cambiato, ma per me la perfezione è Stefan Edberg. È con lui che io ho provato l’esperienza religiosa che Foster Wallace ha provato con Federer. L’ultimo tennista per cui ho davvero tifato è stato Tim Henman, e sono passati un po’ di anni dal suo ritiro. Però capisco il punto di vista di Foster Wallace, anche se l’oggetto della nostra ammirazione sono due persone diverse. Ho presentato brevemente il libro qui, e noto che anche poco più di un anno fa non avevo potuto fare a meno di citare Kurt Browning in un discorso che in teoria non doveva minimamente riguardarlo: http://librolandia.wordpress.com/2012/08/01/david-foster-wallace-il-tennis-come-esperienza-religiosa/.
Dopo aver amato 500 anni di tennis di Gianni Clerici potevo ignorare Divina, dedicato a Suzanne Lenglen? Suzanne è l’unica tennista a vantare una carriera quasi perfetta, con una sola sconfitta subita per di più in un giorno in cui non stava bene. Clerici è innamorato della Lenglen come personaggio e come atleta e si sente benissimo. In alcuni punti il libro non mi ha entusiasmata ma sono sempre passaggi brevi in un’opera complessivamente molto interessante. Dei due libri di Clerici ho parlato brevemente qui: http://librolandia.wordpress.com/2011/05/19/gianni-clerici-da-500-anni-di-tennis-a-divina/.
Poi c’è stato Open di Andre Agassi. Il libro continua a comparire nei primi posti delle classifiche di vendita malgrado il fatto che è stato pubblicato oltre due anni fa, e questo dice qualcosa su quanto sia coinvolgente e ben scritto. Davvero la vita di Agassi a tratti sembra più un romanzo che una vita vera. Come con la Seles, io ho seguito in diretta gran parte degli avvenimenti anche se non conoscevo tutti i retroscena. Ho pure tifato per Agassi per quasi quattro anni, fino a quando un gesto incivile non mi ha convinta a relegarlo fra i tennisti di importanza minore, cioè tutti quelli che non erano Edberg. Va bene, sono tifosa. Lo sono ancora, leggere questo mio testo su Stefan e gli Australian Open per credere: http://librolandia.wordpress.com/2012/01/19/buon-compleanno-stefan-edberg/. Prima o poi scriverò ancora su di lui, questo è certo. Però il tennis è uno sport che ho seguito davvero, come si vede anche dalle mie letture (anche se su alcuni sport è più semplice trovare libri che su altri), e sono tanti i tennisti per cui in un modo o nell’altro ho avuto una certa simpatia. Agassi è entrato nel secondo gruppo, quello dopo Stefan e prima di quelli che mi erano davvero indifferenti o di quelli proprio antipatici. L’autobiografia è bellissima, ora lo capisco un po’ meglio anche se quello sputo non glie lo posso proprio perdonare. Ne ho parlato brevemente qui: http://librolandia.wordpress.com/2011/07/04/open-la-mia-storia-di-andre-agassi/.
Quest’estate c’è stato Wimbledon, sempre di Gianni Clerici. Colpevolmente non ho ancora parlato di questo libro, ma visto che Wimbledon è Wimbledon e Clerici è Clerici potevo non leggerlo? Solo che è davvero difficile stare dietro a tutto, e a volte testi che vorrei scrivere vengono rimandati di giorni, mesi, persino anni. Non capita mica solo con le letture, come successo con Il conte di Montecristo. La serie Caro editore ti odio ho iniziato a progettarla, credo, tre anni prima di mettermi a scriverla sul serio.
Fine? No, non proprio. Oltre alle varie riviste (oltre alle già citate Autosprint, e visto che non l’ho ancora scritto io tifavo per Nelson Piquet, Patinage Magazine, che ho comprato per la prima volta nel 1992 proprio perché in copertina c’era una foto di Browning, e qualcun’altra in modo molto saltuario) ho acquistato anche un Almanacco del Tennis, i due volumi The Grand Slam Record Book di Alessandro Albiero e Andrea Carta di cui ho parlato qui http://librolandia.wordpress.com/2011/09/09/the-grand-slam-record-book-di-alessandro-albiero-e-andrea-carta/ e un paio di volumi enciclopedici sulle Olimpiadi editi dalla Gazzetta dello Sport. Guardo sport quando riesco – ora con le bimbe ho meno tempo, ma faccio il possibile – e ne leggo.
Quando ho visto che Kurt aveva pubblicato un’autobiografia potevo non cercarla anche se era datata? Mi sto dicendo che davvero questa primavera non posso andare a vederlo né a Zurigo né a Lucerna, che in fondo posso sempre guardare i video, ma il libro lo dovevo proprio comprare. E ne parlerò, parlerò di tutta la carriera di Kurt, da dilettante e da professionista. Quando, quest’estate, ho iniziato a guardarlo sul serio, sono stata tentata di aprire un blog dedicato a lui. L’unica cosa che mi ha fermata è stata la considerazione che davvero non ho il tempo per occuparmi di due blog. Questo significa che è qui che scriverò di lui.
Non vi interessa? Non leggetemi. Non sto facendo la difficile o la strafottente, sto dicendo le cose chiaramente. A quanti di voi interessa il pattinaggio artistico? A quanti di voi interessa un singolo atleta che, per quanto bravo, si è ritirato 19 anni fa? Io perderò lettori, almeno nei giorni in cui parlerò di Browning.
Pazienza.
Scrivo quello che mi pare, ma non ho la pretesa che tutto quel che piace a me debba piacere anche ad altri. Scriverò in maniera non lineare, probabilmente salterò di palo in frasca, ma continuerò a scrivere su quel ragazzo – quell’uomo ormai – che riesce a regalarmi emozioni come nessun altro. Per ora quello che posso dire è che con la sua autobiografia mi sto divertendo da matti, e che in certi momenti Kurt sembra completamente folle. Lo amo, e questo è quanto.