Kurtz's Intended

Creato il 21 marzo 2013 da Pim

L’idealismo distacca totalmente le persone dal mondo reale, le pone al di là di qualunque contatto umano. Non è possibile sovrastare tale attitudine con il ragionamento. Questa specie di isolamento opera su di me un atteggiamento fortemente ambivalente. Per un verso, almeno all’inizio, mi irrita, e quindi cerco di riportare su un piano reale le convinzioni del mio interlocutore. Quindi mi addolcisco almeno un po’, perché comprendo che rappresenta un bisogno di valori (il più delle volte non realizzabili) o aspettative (sovente non mantenute) che condivido anch’io. O, più prosaicamente, il bisogno di illusioni, quindi di bugie, di cui siamo impregnati tutti quanti.

Mi torna alla mente il finale di Heart of Darkness: Marlow capisce che è bene che la fidanzata di Kurtz non venga a conoscenza degli orrori di cui egli è stato partecipe. Non può raccontarle la verità perché “sarebbe stata una cosa troppo tenebrosa”.

"La sua fine", dissi, mentre una sorda irritazione sorgeva in me, "fu degna in tutto della sua vita". "E io non gli ero vicina", mormorò. La mia collera cedette di fronte a un sentimento di infinita pietà. "Perdonatemi. Io - io - l'ho pianto così a lungo in silenzio - in silenzio... Siete stato con lui - sino all'ultimo? Penso alla sua solitudine. Senza nessuno vicino che lo capisse come l'avrei capito io. Forse senza nessuno che lo udisse...". "Sino alla fine", dissi con voce scossa. "Ho udito le sue ultime parole...". Mi fermai spaventato. "Ripetetele", mormorò lei con tono straziato. "Ho bisogno - bisogno - di qualcosa - qualcosa - con cui - con cui poter vivere". Ero sul punto di gridarle "Ma non le udite?". Il crepuscolo le andava ripe­tendo in un bisbiglio insistente tutt'intorno a noi, in un bisbiglio che sembrava gonfiarsi minaccioso come il primo bisbigliare del vento che si alza. " Che orrore! Che orrore!". "L'ultima sua parola - con cui poter vivere", insistette. "Non capite che l'amavo - l'amavo - l'amavo!". Mi feci forza e parlai lentamente. "L'ultima parola che pronunciò fu - il vostro nome". Udii un lieve sospiro e quindi il cuore non si mosse più, s'arrestò di colpo al grido esultante e terribile, al grido d'inconcepibile trionfo e di dolore indicibile. "Lo sapevo - ne ero sicura...". Lo sapeva. Ne era sicura. La udii piangere; aveva nascosto il volto fra le mani. Mi parve che la casa dovesse rovinare prima che potessi fuggire, che il ciclo dovesse crollarmi sulla testa. Ma non accadde nulla. Il cielo non crolla per così poco. Sarebbe crollato, mi chiedo, se avessi reso a Kurtz quella giustizia che gli era dovuta? Non aveva forse detto egli stesso che voleva soltanto giustizia? Ma io non potevo. Non potevo dirlo a lei. Sarebbe stata una cosa troppo tenebrosa - troppo tenebrosa davvero...

La scena è incisiva ed emozionante perché rappresenta la capacità umana di sfuggire la concretezza, la verità. In una parola: il principio di realtà. Cosa che, come ho detto, subito mi indispettisce ma poi, come Marlow, finisco per assecondare. Questa facoltà di autoingannarsi reca con sé la necessità di esercitare un ferreo controllo sugli eventi e, al tempo stesso, un’insostenibile vulnerabilità che mi turba, sento che mi appartiene.


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