All'ultimo Festival di Venezia la visione di Miss Violence mi aveva letteralmente scossa.
In molti però, avevano accusato Avranas di aver plagiato in parte l'idea di un suo connazionale, Yorgos Lanthimos, che 5 anni prima aveva scosso a sua volta il pubblico con una famiglia agli antipodi.
Ripresami dopo mesi (solo in parte, visto che alcune scene ogni tanto riaffiorano e bruciano ancora), ho quindi deciso di recuperare quest'altro incubo dai colori luminosi, vincitore a suo tempo nella sezione Un Certain Regard a Cannes e nella cinquina finale degli Oscar al miglior film straniero nel 2011.
Il primo pensiero?
In Grecia non si deve mica stare tanto bene.
Ancora una volta, infatti, ci si trova di fronte ad una famiglia all'apparenza felice e unita, ma che, scavando a poco a poco, nasconde divieti e regole, ma soprattutto un'educazione che mette i brividi.
I tre figli di una coppia ancora giovane, vivono in una villa isolata dal resto del mondo, imparando giornalmente nuove parole come mare (una poltrona con i braccioli di legno), autostrada (un materiale per fare i pavimenti) o pistola (un bellissimo uccello bianco). Le due sorelle e il fratello sono senza nome, e vivono le giornate succubi dei genitori che li intrattengono in giochi e gare promettendo loro in premio adesivi colorati o aeroplani giocattolo che cadono dal cielo. Vige quindi un clima di austerità nella casa, dove solo al padre è concesso per motivi di lavoro e di commissioni, uscire, perchè uno spaventoso gatto si aggira dietro le barricate pronto a ferire e uccidere.
A una sola persona è però permesso l'ingresso: Christina, agente di sorveglianza che ha il compito di soddisfare i bisogni sessuali del figlio maggiore. Sarà proprio la sua presenza, il suo essere esterna e imprevedibile a cambiare a poco a poco gli equilibri della famiglia, con l'introduzione di oggetti estranei come delle videocassette o con richieste che mandano in confusione le due figlie.
In pochissimo tempo, così, tutto il lavoro di prevenzione e di isolamento che i genitori avevano fatto per mantenere i figli innocenti e puri svanisce, portando al sangue, e alla vendetta.
Ma a guadar bene non è solo l'elemento estraneo a fare di soggetti disciplinati degli esseri umani capaci di reagire, perchè l'invidia, la menzogna e la paura aleggiano già da molto nella casa.
Lanthimos ricostruisce alla perfezione la sensazione di claustrofobia e isolamento, tagliando i volti dall'inquadratura, soffermandosi su primi piani e su scene che diventano subito culto, come il ballo ripresa di Flashdance. In tutto questo, la presenza autorevole del padre si fa sempre sentire, arrivando a decisioni estreme pur di preservare la sua famiglia dal mondo esterno.
Ne esce così un film decisamente forte, e allo stesso tempo diverso per concezione e realizzazione di quello di Avranas, dove il malessere era più accentuato, il dolore sbattuto in faccia e sezionato da un'immobilità di montaggio.
Qui invece si esplora, ci si perde nel vasto giardino, e si ha una flebile speranza che il canino, una volta caduto permettendo la libertà, possa anche ricrescere.
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