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L'abisso siamo noi: "La terza parte della notte" di Andrzej Zulawski
Creato il 01 ottobre 2013 da SamuelesestieriAssisto all'esordio di Zulawski con la precisa volontà di essere tramortito, di guardare sentire percepire le immagini e venirne soggiogato (e i suoni, e la colonna sonora, e i volti, e il sangue, e i batteri, e i virus, tutto, proprio tutto!). Quello che richiedo, ansiosamente, devotamente, è solo di lasciarmi inabissare. Perché nel cinema, nel cinema che amo, Io voglio prima di tutto perdermi.
Zulawski imprime su pellicola la sua stessa frenesia, muove la macchina come se essa fosse un arto claudicante, bisognoso di agire, di dire e fare finché può. Un arto che si muove perché si sente in pericolo in questo mondo e ha il bisogno viscerale dell'ansia, dell'isteria e dell'eccesso perché solo allora può credersi (e sentirsi) vivo.
"La terza parte della notte" è il meccanismo espanso e vitale, portato fino al parossismo, di donne che vissero due volte e inquilini del terzo piano. E' il doppio esponenziale, è lo stesso, il medesimo che è divenuto mondo. E' la realtà in cui tutti siamo uno, dove l'identico ritorna in continuazione, fino a mandare in corto-circuito l'intero sistema (ovvero: fino alla follia di ogni singolo uomo). Ogni vita, ogni esistenza, è indipendente, è una sfera a parte, un mondo privato e personale separato fin dall'inizio da tutto il resto (ma esiste poi un resto che non sia illusorio, dono o miraggio di gentile concessione?).
"Le persone" si dice nel film "si muovono su orbite che sono così lontane tra loro, si incontrano così di rado e quando lo fanno non sono quelle che avrebbero dovuto incontrarsi".
Tra sangue e pidocchi Zulawski inscena l'incubo di un mondo arrivato alla catastrofe, di un sentire o sentore apocalittico nella Polonia occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. In questo inferno sulla terra non si può fare altro che rivivere la propria vita, incontrare i propri demoni e scoprire che loro - proprio loro - hanno il nostro stesso volto. L'abisso, il male, il portatore del virus, siamo noi. Ma noi siamo, allo stesso tempo, l'antivirus. Non esiste scissione, si vive nella danza di forze opposte, mai conciliabili, complesse e sfinenti: il germe è l'anticorpo, l'anticorpo è il germe.
Negli occhi del protagonista il suo stesso annientamento.
Nella vita si annida il principio della morte.
Ne consegue che ogni uomo sia un abisso.
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