Esistenza precaria,disperazione del finito, fragilità che si sgretola se separata dalla verità.
Il mito è nel maestro ( e cioè in Federico Severino,figlio di un padre piuttosto ingombrante,il filosofo Emanuele) un sentimento tragico per il suo destino immutabile che, appena qualche volta, si trasforma in simbolo.
Colpisce l’opera “Dialogo con Presenza-Assenza”,allegoria in terracotta, dove le tracce (il vestito vuoto) dell’assente gridano in modo simbolico e angoscioso come sottolinea lo stesso Severino.
E il vestito o “abito vuoto” è quella famosa ansia di presenza di salvezza, punto fermo, che l’uomo, nel corso dell’intera esistenza disperatamente cerca nel “dialogo” che lo trascende e che molto spesso è delusione.
E’amaro in bocca in quanto è la finitudine della condizione umana stessa che non consente .E ne è difficile di conseguenza l’accettazione.
Dicono di Lui, e lo fa nel 1988 il suo amico Giorgio Mascherpa, critico d’arte : “ La natura medesima della sua materia prediletta, la terracotta, fa sì che anche le figure metafisiche più mostruose, quelle in cui l’uomo e la bestia paiono fondersi insieme ( ora con prevalenza dell’uno,ora dell’altra) non assumono mai caratteristiche dell’ horror e proprio per la calda, terrosa colorazione “cotta”, che per di più è in grado di evocare soprattutto la millenaria capacità di costruire dell’uomo, anziché la sua volontà distruttrice”.
E, più di recente, Elena Esposito, nel catalogo edito da Franco Senesi nel 2009, scrive ancora dell’artista :”Severino sa unire arte e filosofia, storia e religione, l’antico e il moderno, il passato e il presente e il recupero dei miti dell’antichità è semmai la sfida avvincente di rimetterli in discussione nell’oggi.”
E Federico di se stesso nel “distinguo”tra arte sacra e profana, a proposito di certe critiche poco generose, spiega :” Io penso che non basti la lezione di Tiziano, quella dell’ “Amore sacro e amore profano”. Penso alla delega dell’ente o popolo di Dio committente. Penso allo spirito, al vissuto del monaco ortodosso sul monte Athos, che dipinge le sue icone stando in ginocchio tra le nuvole e salmodiando. Quanto alla scultura, anche alla “mia” scultura, essa è rappresentazione materica della divinità arcaica, potente e immota. Il suo rapporto con il sacro è fondamentale : nelle culture artistiche la scultura è essa stessa ierofanica”.
a cura di Marianna Micheluzzi
Per approfondire l’argomento , chi vuole, può leggere interamente l’articolo di Antonio Tarzia “Filosofia e bronzi policromi” nel numero 8 di agosto 2013 della rivista Jesus. /Periodici San Paolo- Alba (Cn).