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"[…] Neanche una volta, tra i venti e i quarant'anni, desiderai avere un figlio, né provai qualcosa di più che un vago sentimento di benevolenza nei confronti dei figli altrui. Mentre le altre donne si commuovevano davanti ai neonati, io restavo in silenzio per nascondere ciò che provavo, e quanto ai bambini più grandi non li biasimavo certo per quello che erano, eppure sentivo che doveva essere una noia averli intorno, se non in piccole dosi. Ciò nonostante avevo probabilmente ragione nell'immaginare che avrei amato un figlio, qualora ne avessi avuto uno. Questo risultò evidente quando a quarantatré anni il mio corpo prese il sopravvento sulla mente e rimasi incinta. Era già successo in precedenza, ma allora avevo posto fine alla gravidanza senza alcuna esitazione né strascico di infelicità. […] Ma se mi chiedo 'Davvero non ti dispiace non avere figli o nipoti tuoi?', la risposta è: 'Sì, davvero'. Ed è proprio perché non posso e non voglio avere il fastidio di un intimo coinvolgimento con i piccoli che incontro oggi, che ho acquisito la libertà di comprendere la loro bellezza e le loro potenzialità. È una questione di egoismo: anche se non, spero, un egoismo dilagante; piuttosto un ostinato nucleo di egoismo da qualche parte dentro di me, che mi induce a essere molto cauta con ciò che richiede totale dedizione, come quella che una madre deve consacrare a un neonato o un bambino. […] E ora mi viene in mente come la mia inadeguatezza verso i bambini molto piccoli […] mi portò a deludere la mia migliore amica […] quando una quarantina di anni fa mise su famiglia. Appena diede alla luce il terzo figlio si separò dal marito e dovette quindi crescere i bambini, svolgendo a tempo pieno un lavoro molto impegnativo per poterli mantenere. […] Davanti ai suoi problemi chiusi gli occhi, la frequentai sempre di meno, con la triste sensazione che fosse stata inghiottita nel fastidioso mondo dei bambini piccoli – o nel mondo dei fastidiosi bambini piccoli – e lei mi ha sempre detto che non si era mai sognata di chiedermi aiuto, perché sapeva bene quanto fossi fredda e distaccata nei confronti della sua prole". Diana Athill, Da qualche parte verso la fine, Rizzoli, Milano 2010Possono interessarti anche questi articoli :
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