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L’accordo sul nucleare iraniano è parte di una macro-strategia USA in Medio Oriente

Creato il 25 novembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Stefano Lupo

John Kerry
Il “Piano d’Azione Comune” (JPA, Joint Plan Action) raggiunto dal gruppo dei 5+1 e dall’Iran nella notte ginevrina del 23 Novembre scorso segna un passo importante non solo per le aspettative iraniane ma anche, forse soprattutto, per la strategia geopolitica globale dell’amministrazione Obama. Il Presidente americano ottiene la seconda vittoria (seppur ad interim) in politica estera dopo l’operazione che ha portato all’uccisione dell’ex leader di Al-Qaeda, Osama Bin Laden, ma deve affrontare importanti sfide all’orizzonte, seppur alla luce di segnali incoraggianti. L’accordo siglato, con il preziosissimo e decisivo contributo finale della diplomazia europea nella persona di Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, e dei suoi top advisors, è un piano a tempo, sei mesi, da verificare continuamente e valutare in modo complessivo prima della stipula di un framework, si spera definitivo, sul programma nucleare di Teheran.

Lo  stop all’arricchimento (termine molto improprio ma ormai entrato nel discorso comune) dell’uranio alla soglia del 5%, la conversione dell’uranio posto al 20%, il blocco di installazioni di nuove centrifughe, il permanere nello “switch off” di quelle inattive, oltre che la cancellazione di ogni programma di costruzione di nuovi siti, da abbinarsi alla sospensione di nuove componenti per Arak (l’impianto dell’acqua pesante per la lavorazione del Plutonio), di cui si prevede anche il non funzionamento, e alle ispezioni AIEA a Natanz e Fordow, oltre che all’analisi dei timori ONU sul sito militare di Parchin, sono condizioni molto buone, per un accordo a tempo, se paragonate alle piccole concessioni in termini di alleggerimento sulle sanzioni: la Repubblica islamica otterrà accesso a circa 4,2 miliardi di dollari, una parte delle finanze iraniane  congelate nelle barche internazionali, verrà ripresa la commercializzazione dei metalli preziosi e la compravendita di veicoli per circa 1,5 miliardi, oltre che l’acquisizione di pezzi di ricambio per aerei e, particolare molto rilevante per l’immaginario dell’opinione pubblica internazionale, verrà ripresa parzialmente la vendita del greggio iraniano. Una programmazione efficace, quindi, nel breve periodo, che soddisfa la necessità di una vittoria diplomatica per Obama, la premura temporale dell’establishment di Rouhani dall’altro lato, ansiosa di ottenere un tesoretto di credibilità da poter spendere contro la componente della linea dura interna.

Certo non mancano i problemi: in primo luogo esiste la virtuosistica querelle sulla presenza o meno nelle quattro pagine del JPA della presunta legittimazione all’arricchimento dell’uranio di Teheran: l’agenzia FARS ne ha parlato, Kerry lo ha fortemente smentito; in secondo luogo l’evidente e prevedibile dissapore israeliano, manifestato molto chiaramente, e saudita, più contenuto, per la verità, nelle ultime ore, rivela la necessità dell’amministrazione Obama (che ha tra l’altro dovuto incassare l’opposizione del Canada al piano, che si riserva di firmare al termine dei sei mesi, in caso di adempimento iraniano) di adottare nell’arco cronologico previsto del Piano d’Azione Comune tutte le strategie possibili per non alienare del tutto le due colonne americane nella strategia mediorientale, Israele e Arabia Saudita, appunto. Gli USA non sono in grado di fare a meno di questi macro attori regionali in un colpo solo, non prima, almeno, di aver stabilizzato forse definitivamente il rapporto con l’Iran, da molti considerato l’elemento geopolitico su cui puntare per una reale gestione in equilibrio dell’area dalla costa mediterranea all’Afghanistan: questo è ciò che viene temuto a Tel Aviv e Ryadh. Il macro piano previsto dall’amministrazione Obama è forse rintracciabile nel lungo negoziato segreto intercorso con la controparte iraniana da sette mesi, ben prima quindi dell’elezione, il 14 giugno scorso, di Hassan Rouhani come Presidente dell’Iran. La capitale dell’Oman, sede del governo dell’abile sultano Qaboos, esperto e consumato diplomatico, ha visto svilupparsi da Marzo intensi round di confronto segreto tra iraniani e americani, soprattutto il Sottosegretario di Stato William Burns e il top foreign advisor del Vicepresidente Biden, Jake Sullivan, assieme,nell’ultima parte, al Chief Nuclear Negotiator Wendy Sherman.

Il lungo orizzonte temporale di questi negoziati sotterranei può essere il vero rivelatore di un piano di medio periodo, che rende forse anche comprensibile il gioco d’azzardo di Obama sulla questione dell’arsenale chimico di Assad in Siria, una manovra forse alla brinkmanship per non innervosire Teheran, che ha comunque compiuto il suo dovere di far eleggere Rouhani, l’uomo con il margine di credibilità necessario per affrontare i veri negoziati, quelli finali, ma che non sono ancora terminati. Nel frattempo Obama farebbe bene a tenere insieme il suo fronte in Medio Oriente per evitare possibili vacuum che Russia (vedi il caso egiziano) e Cina (fortissima ripresa del dialogo economico con Israele) sfrutterebbero con decisione e con “ riconoscenza”. L’importante resta comunque il fatto che, arricchimento o non arricchimento dell’uranio (comunque non formalmente negato nel documento) i negoziatori occidentali abbiano compreso che la conditio sine qua non per negoziare con l’abilissima capacità diplomatica persiana sia unicamente quella di riconoscere la rilevanza regionale dell’Iran, di rendere attore del suo potere reale e apparente, delle sue capacità in fieri: è quello che serve all’Iran per autolegittimarsi e sopravvivere come Repubblica Islamica; è quello che serve all’Occidente e agli USA in particolare, con finalmente una squisita declinazione realistica che trascende ogni possibile delirio di “axis of evil” ricordando George Bush e il suo discordo dell’Unione del Gennaio 2002, da cui tutto il marasma geopolitico sull’Iran nucleare è ripreso.

* Stefano Lupo è Research Fellow presso Iran Progress e Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche e Politiche ed Economia del Mediterraneo (Università di Genova)

Photo credit: AP Photo/Carolyn Kaster, Pool

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