Maria Concetta Cacciola, una donna forte, determinata, consapevole della scelta fatta aveva rilasciato dichiarazioni veritiere, forti e pesanti tanto è che grazie alle sue parole si sono scoperti due due bunker utilizzati dai latitanti della famiglia. Maria Concetta Cacciola, pentita insieme a Giuseppina Pesce, figlia di Salvatore, boss di Rosarno, in questi mesi hanno portato una fievole luce sulle tante inchieste aperte nel reggino.
Maria Concetta era stata ammessa al programma di protezione, tanto che aveva lasciato Rosarno per trasferirsi in una località segreta. Lo scorso 10 agosto, improvvisamente, aveva invece deciso di ritornare a Rosarno, probabilmente per riprendersi i suoi figli. Chi l’ha incontrata di recente l’ha descritta come una donna totalmente cambiata. La donna era sposata con Salvatore Figliuzzi, attualmente in carcere per scontare una condanna a otto anni per associazione mafiosa. È stato arrestato nel 2002 nell’ambito dell’operazione «Bosco selvaggio» che portò in galera i vertici del clan Bellocco. Figliuzzi, però, è stato anche coinvolto nel tentativo di uccidere due magistrati all’epoca in servizio alla Dda di Reggio Calabria, Alberto Cisterna e Salvatore Boemi. La scoperta era stata fatta dai carabinieri che, intercettando tre personaggi di Rosarno, tra cui Figliuzzi, ascoltarono in diretta la preparazione dell’agguato contro i due magistrati. Forse Maria Concetta aveva parlato anche di quell’agguato ai magistrati reggini? Dalle prime indagini sembrerebbe che la pentita non abbia lasciato nessuna lettera per spiegare il suo gesto.
Le donne delle ‘ndrine non si possono pentire. Una volta che si pentono il destino è già segnato: la morte le attende. Qualche mese fa Tita Buccafusca, 38 anni, moglie di Pantaleone Mancuso, boss di Nicotera (Vibo Valentia), esattamente il 18 aprile si è tolta la vita ingerendo acido solforico. «Tita» aveva conosciuto la ‘ndrangheta dall’interno, partecipando ai tavoli dove si prendevano decisioni importanti. Il suo pentimento era stato considerato una svolta storica negli ambienti investigativi.
E, se non sono le donne a uccidersi con l’acido, l’acido le uccide. Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia rapita, uccisa e sciolta nell’acido, 35 anni, uccisa in un capannone della periferia milanese e poi sciolta nell’acido in un terreno vicino Monza dal suo ex compagno Carlo Cosco, boss della ‘ndrangheta crotonese.
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