Gli italiani si stanno mobilitando in maniera molto determinata perché il servizio erogazione dell’acqua non venga affidato al libero mercato.
È un NO netto alla privatizzazione, con oltre un milione e 400mila firme in favore di ciascuno dei tre quesiti abrogativi delle norme che consentono la privatizzazione dell’acqua. Nessun referendum nella storia della Repubblica, ha sottolineato il Comitato promotore, ha raccolto tante firme.
Slogan della campagna referendaria: «L’acqua non si vende». E’ un bene essenziale che appartiene a tutti: nessuno può appropriarsene, né farci profitti.
Sintetizzando i 3 quesiti:
- abrogazione dell’articolo 23-bis della legge 133/2008, che colloca tutti i servizi pubblici essenziali locali sul mercato, compresa la gestione dell’acqua pubblica in Italia;
- articolo 150 del Codice dell’ambiente relativo alla scelta della forma di gestione e alle procedure di affidamento;
- del comma 1 dell’articolo 154 che prevede che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio pubblico integrato ed è determinata rendendo conto di una adeguata remunerazione del capitale investito.
La combinazione dei tre quesiti comporterebbe, l’affidamento del servizio idrico a forme societarie che qualificherebbero il servizio sia strutturalmente che funzionalmente.
Non solo, purtroppo lo strumento referendario si è dimostrato inadeguato per la scarsa efficacia dimostrata negli ultimi anni (24 referendum persi su 24 negli ultimi 15 anni per mancato quorum).
Un model
Un referendum importantissimo al quale dobbiamo aderire tutti perché l’acqua che è la nostra essenza e senza la quale non si vive, non sia considerata una merce ma un bene pubblico per tutti.
Una battaglia fondamentale che ha coinvolto finalmente l’opinione pubblica e che in questa prima fase, evidenzia la forte partecipazione firmataria ma anche la volontà di difendere l’acqua come bene comune fondamentale.
Il primo passo è stato fatto ora resta da fare l’altra parte di questa avventura, quella della certificazione.