Poi l’ho letto, in poche ore perché la storia, che si sviluppa su duecento pagine, è di quelle che si può gustare in una notte o due. Ma ci si può pensare molto più a lungo. Dopo.
I primi capitoli, a dire il vero, non mi hanno convinto. Ho faticato un po’ a capire perché doveva interessarmi il matrimonio di Arno e Sara, una coppia che si conosce fin dall’adolescenza, si perde per poi ritrovarsi, sposarsi e costruire una famiglia. Una coppia come tante, che dopo avere cresciuto tre figli, comincia a vivere una fase di “declino” amoroso. È Arno, violoncellista alla scala di Milano e voce narrante del romanzo, a lamentarsi del cambiamento della moglie:
Ma conoscendola, come ormai la conosco, penso sia il suo carattere a fregarla, a farle attraversare periodi sempre più lunghi annegati in pensieri cupi che lei non fa niente per combattere. Da un anno è peggiorata, come se fosse spaventata da qualcosa. Si lascia andare sempre più spesso ad attacchi di disperazione che faccio fatica a comprendere ma soprattutto a giustificare. Abbiamo tre bravissimi figli, una vita invidiabile, non c’è nulla che io non abbia fatto per lei, è stata, ed è tuttora la luce dei miei occhi. L’ho amata tanto. E l’amo ancora, ma lei non vuole crederci, preferisce autocompiangersi.
Il linguaggio semplice, adatto a un narratore di sesso maschile alle prese con le paturnie della moglie, ma forse poco “vibrante”, non mi ha aiutata a sentirmi partecipe delle emozioni sperimentate dal povero Arno, che di punto in bianco, una mattina, si ritrova solo con tre bambini dai sette ai dodici anni a cui fare da padre e madre insieme. Sara se n’è andata da casa lasciando solo un laconico biglietto in cui non dice se e quando tornerà. Ed è a questo punto che, poco a poco il romanzo prende una piega diversa. E si fa più stimolante. Più intenso.
Per ritrovare Sara, che fatta eccezione per poche mail si rifiuta di comunicare con lui, Arno è costretto a scavare nel passato di sua moglie e a scoprire cose di lei, ma anche di se stesso, che non avrebbe mai sospettato.
Fa sorridere Bignardi quando descrive un uomo solo alle prese con la vita quotidiana di tre bambini, fa arrabbiare raccontando di una madre capace di sparire nel nulla e fa anche star male quando tocca tasti delicati, come la perdita di un figlio, ma non arriva mai ad affondare il colpo. Una bella storia di sentimenti, ma con il freno tirato. Anche i bambini abbandonati non fanno troppo pena. Forse perché si sospetta che la madre, in qualche modo, li senta o li veda alle spalle del marito.
L’ultima parte del libro, che risulta essere un viaggio verso la consapevolezza di sé ben oltre le confortevoli apparenze create dalla convivenza, è forse la più riuscita anche se si conclude in un modo che appare un po’ superficiale. Avrei voluto sentire anche la voce di Sara, anche per poco, invece di “viverla” solo attraverso le parole di un marito che impara a conoscerla attraverso la sua assenza. Gli incontri che Arno fa con i personaggi che hanno popolato il passato di sua moglie, lasciano la sensazione d’incompiuto. Manca ancora qualcosa, insomma, perché l’acustica sia davvero perfetta, ma Daria Bignardi è stata certamente in grado di cogliere il disagio di molte coppie di oggi, che non necessariamente hanno alle spalle anni oscuri, ma semplicemente soffrono del male dell’incomunicabilità.
- Titolo: L’acustica perfetta
- Autore: Daria Bignardi
- Editore: Mondadori
- Prezzo: 18€
- Voto: 7
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