La trama (con parole mie): Will Rodman è un promettente scienziato alle prese con lo studio di una potenziale cura per l'alzheimer - di cui soffre il suo stesso padre - che parte dalle scimmie ed è basata sull'utilizzo di un virus molto aggressivo.
Quando Bright eyes, l'esemplare più ricettivo del laboratorio, attacca il personale e viene abbattuta, il progetto viene riportato alla fase di studio molecolare: ma Will scopre che il cucciolo avuto dalla scimpanzè prima di morire ha assorbito geneticamente il virus, e si presenta più intelligente di qualunque membro della sua specie.
Per quasi dieci anni Caesar vive dunque in segreto con la famiglia Rodman sviluppando la sua intelligenza in misura sempre maggiore, mentre Will sperimenta in segreto sul padre la potenziale cura, scoprendo che la stessa è in grado di vincere l'alzheimer.
Ma tutto è destinato a precipitare: a causa di un litigio legato al ripresentarsi della malattia, il vecchio Charles Rodman viene minacciato da un vicino e Caesar interviene in suo aiuto finendo rinchiuso in un centro di detenzione in attesa di un responso giudiziario.
Credendo di essere abbandonato da Will, Caesar comincia ad approntare un piano di rivolta dei suoi compagni di cella rispetto agli umani.
A volte esistono film destinati a finire male a partire dal titolo.
L'alba del pianeta delle scimmie, infatti, non è inserito nella continuity della serie di fantascienza classica, o nel contesto del più recente remake burtoniano: si tratta infatti di una sorta di reboot che colloca i protagonisti di una delle realtà più cult del genere in un contesto tutt'altro che spaziale - quanto più sociale, o addirittura catastrofico, pensando a quello che lascia presagire la pellicola stessa - per nulla legato al famoso brand, ma sfruttato, a quanto pare, soltanto per questioni di mero marketing.
Inoltre, a questa critica volendo perfino un pò spocchiosa, si aggiunge il risultato: una pellicola dalle discrete potenzialità clamorosamente rovinata dopo una prima parte tutto sommato promettente per essere immolata sul consueto altare della retorica e dell'azione all'ammeregana che, quando presenti in dosi massicce e fastidiose, tendono a scatenare l'impulso da bottigliata selvaggia quasi più di un pretenzioso film radical chic di quelli che tanto detesto.
La vicenda di Caesar ed il suo legame con Will e suo padre, infatti, partita come una progressiva presa di coscienza da parte del primo e di un sotterraneo sentimento sempre meno celato di non voler essere considerato alla stregua di un animale domestico qualsiasi diviene, a partire da quella che avrebbe potuto essere la svolta in positivo dell'intera pellicola - il momento della cattura di Caesar e l'inizio della sua detenzione -, la più classica sequela di situazioni da blockbusterone finto impegnato con tanto di rivoluzione scimmiesca come se fosse atta a sensibilizzare il pubblico senza però dimenticare che lo stesso fa sempre parte della più illuminata razza umana - nonostante le scelte, per quanto sentite, di Will risultino una più fallimentare dell'altra -.
La svolta catastrofica della pellicola di cui parlavo sopra, inoltre, rende clamorosamente concreta l'ipotesi di assistere ad un eventuale sequel e trasforma un potenziale dramma sci-fi tutto domestico in stile seventies in un banalissimo film da multisala che gioca con la politica - peccato che non si tratti di V per vendetta - e si perde nello scontro neanche ci trovassimo nel pieno dell'epoca degli Independence day.
Un vero e proprio tracollo minuto per minuto, talmente evidente da far sorgere il dubbio che a realizzare il prodotto finale siano stati più registi, o che ai tentativi dell'uomo dietro la macchina da presa di renderlo più interessante si siano opposti con fermezza i capoccioni della produzione, convinti di ottenere un risultato migliore in termini di pubblico e denaro - e, purtroppo, i dati che arrivano dagli States paiono perfino dare loro ragione -: un vero spreco, insomma, perchè materiale potenzialmente ottimo si intravede fin dall'arrivo di Caesar in casa Rodman, ed un eventuale triangolo che coinvolgesse Will, la sua donna e lo stesso Caesar sarebbe stato degno del miglior Romero - ricordate Monkey Shines!? -, ma evidentemente chi mette i fondi ed ancor più il grande pubblico paiono non essere pronti per un salto di qualità di questo genere.
Un plauso va, ad ogni modo, alla consueta ottima performance come "mimo" di Andy Serkis - che, continuo a sostenerlo, avrebbe meritato l'Oscar con il suo Gollum, qualche anno fa -, un vero pioniere di una nuova forma di interpretazione - aiutato dagli effetti speciali, questo è indubbio, ma di sicuro primo grande interprete di questa inedita prospettiva attoriale -, unico a spiccare clamorosamente in un cast crogiolatosi troppo facilmente nell'idea di lavorare all'interno di un blockbuster - James Franco, discretamente anonimo, e John Lithgow, adagiato nelle meraviglie cui ci aveva abituati nel ruolo di Trinity nel corso della quarta stagione di Dexter e, pertanto, nel pieno di una sorta di "gioco di rimessa" interpretativo -.
Ma, chissà, così come per la rivalità crescente tra Uomo e Scimmia - ma è davvero così presente, date le similitudini evidenti? -, forse la questione è tutta legata ai punti di vista: chi si aspetterà una schifezza atomica probabilmente resterà sorpreso, e chi si fiderà delle prime valutazioni dei critici oltreoceano si troverà di fronte ad una cocente delusione.
O forse il contrario.
Resta il fatto che la sequenza iniziale di 2001 resta ancora il meglio che la Scimmia abbia potuto dare alla settima arte.
E, riflettendoci bene, anche l'Uomo.
MrFord
"Hey monkey, where you been?
This lonely spiral I've been in.
Hey monkey, when can we begin?
Hey monkey, where you been?"
Counting crows - "Monkey" -