L'alba dell'uomo

Creato il 07 febbraio 2013 da Giuseppeg
Si tratta probabilmente di una delle sequenze più famose della storia del Cinema, ed è divenuta in poco tempo l’emblema di un’epoca, il suo monito e la sua celebrazione. Sto parlando dell’inizio di 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick. Senza altri preamboli, andiamo a rivederla insieme, riassaporiamola passo per passo. Il film prende l’avvio da un concetto altissimo: la nascita, ovvero l’alba della vita. L’inquadratura iniziale è per la Terra, l’habitat che racchiude e contiene ogni conflitto, ogni sfida, ogni speranza della nostra specie. La musica di sottofondo è inconfondibile: Richard Strauss, Così parlò Zarathustra. Si ripropone qui un binomio costante nella produzione del regista: le immagini e la musica, spesso da camera, che nel loro accostamento innaturale suscitano un disorientamento critico nella mente dello spettatore, funzionale all’impianto satirico di quasi tutti i suoi film. Il brano in questione, ad esempio, sarebbe perfetto per un intento celebrativo dell’attività dell’uomo e della sua presenza sul pianeta: il che però, come vedremo, esula totalmente dalle intenzioni del regista. Dopo questo inizio folgorante, ci si aspetterebbe di piombare direttamente nello spazio, in un’era futuristica come in tutti i racconti di fantascienza che si rispettino. E invece no. Restiamo ben ancorati alla Terra. Il linguaggio visivo di Kubrick non è assolutamente accomodante: il regista esige un impegno da parte del pubblico, una continua tensione intellettuale ed emotiva. Ciò che vediamo è una serie di panoramiche che hanno a che fare con il sorgere del sole: l’alba dell’uomo, come recita la didascalia. Il paesaggio si delinea sempre meglio, vuoto ed alienante. La Terra non si mostra affatto come la casa naturale dell’uomo: essa viene prima, smisurata e letale, colma di ossa animali, affamata ed insaziabile. L’uomo compare quasi per caso: un accidente, al pari di tutte le altre forme di vita. In questi scenari silenziosi, immutabili, l’occhio della cinepresa segue l’evoluzione particolare di questo ominide; ogni pausa è un vuoto di secoli, ogni stacco è il passaggio di un’era. Le immagini sono prese per lo più dal basso: in questo modo l’elemento naturale risulta sempre soverchiante. L’ominide è accostato significativamente agli altri animali: con loro si ciba, convive, divide le prede; come loro è vittima di predatori più forti. Ma un giorno succede qualcosa. Uno di loro, venuto a contatto con un mucchio di ossa, afferra per caso una tibia: la musica di Strauss ritorna a suonare, in un crescendo epicissimo, vero leitmotiv della traversata ‘gloriosa’ della specie umana lungo la Storia. La scena che segue è indimenticabile. La cinepresa è stata posizionata in una fossa scavata appositamente. Ciò che vediamo, all’inizio, è solo il cielo. A un certo punto, il braccio dell’ominide, sollevandosi, occupa quasi tutto lo spazio visivo; la mano impugna l’osso, stretto a mo’ di arma. Il braccio si muove al rallentatore: si solleva, carica il colpo e si abbassa. Il particolare diventa simbolico, universale: l’uomo ha scoperto la tecnica. La musica esplode, e ha ragione di farlo: da questo momento, infatti, l’uomo si distinguerà dagli animali. Il progresso quindi, la sua conquista più preziosa, deriva in questo modo dalla sua volontà di potenza, e il suo strumento principale è la violenza. La nostra civiltà poggia quindi su basi di sangue. Come sempre il messaggio di Kubrick è spietato e scioccante: secoli di umanesimo sono improvvisamente spazzati via, in nome di una teoria evolutiva saldamente ancorata al sapere scientifico. Quando l’ominide, ormai uomo, si accanisce contro il resto delle ossa, esultando per la sua potenza, Kubrick ce lo mostra inquadrandolo ancora dal basso: in questo modo campeggia e si erge in tutta la sua furia devastante. A questo punto, con uno stacco di milioni di anni, il film potrà occuparsi del futuro. Lo stacco è possibile perché in fondo nulla è cambiato: la tecnica ha portato l’uomo nello spazio, ma non ha riscattato la sua esistenza. Resta ancora da chiederci: e il monolito nero? Che significato ha, qual è il suo ruolo vero? Di questo si è molto discusso. Kubrick stesso non è stato molto chiaro. Trascendenza, simbolo, fantasia? Dio, gli alieni, una meteora sulla Terra? Non si sa. Probabilmente è solo il nostro destino. Adorare un qualcosa che non conosciamo, e in nome di questo, alla fine, distruggere il mondo.

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