Sono nata e cresciuta in una casa dell’edilizia popolare e, a tutt’oggi, dal mio poggiolo vedo l’appartamento dove ho vissuto per circa 19 anni.
Allora era estrema periferia, attraversata la strada c’era solo una distesa di vigneti facenti parte del maso dove adesso sorge il mio condominio.
La mia stanza aveva ben due finestre. Una, a nord, dava sul cortile, l’altra, verso ovest, sulla strada. Da quest’ultima vedevo l’unico albero che allora cresceva sulla via, una robinia (molto simile all’acacia), che custodiva molti nidi, ma non ricordo di quali uccelli, passeri e merli probabilmente, però non ne sono certa.
Ma la robinia aveva un difetto: grosse radici nodose che, aumentando di anno in anno, avevano deformato il marciapiede, rendendolo gibboso ed inagibile, per di più in un tratto dove la parte pedonale si restringeva parecchio. Così, dopo non so quanti anni, in un giorno di aprile, l’albero è stato sacrificato. Una mattina degli operai della giardineria comunale prima l’hanno sfrondato, poi hanno segato in vari segmenti il tronco, infine hanno estirpato le radici… Ed è stato come se avessero estirpato un pezzo della mia infanzia.
Adesso il paesaggio è completamente cambiato. Dove c’erano i vigneti sono state costruite case, la strada è tutta alberata e resta solo quel tratto desolatamente vuoto. Pare che per riempirlo ci debbano piantare un ibisco, piccolo e non ingombrante…