Solo Edipo, interpretato dallo stesso Marco Isidori, risulta poco “tragico”: fin dall’inizio, la sua voce si distingue dalle altre per la debolezza e l’insicurezza, preannunciando con largo anticipo quale sarà il triste esito del suo impegno politico. Appare fin da subito la vittima di eventi incontrollabili, come il terrore dilagante in tutta Tebe per la diffusione di un’inspiegabile epidemia di peste: «Perché assediate di tanto male Edipo il Famoso?». Ma è difficile immaginare quale potesse essere, prima del capovolgimento improvviso della sua fortuna, la statura eroica di questo re (difficoltà data, in larga parte, anche dalla variopinta giacca indossata dall’attore, simbolo dell’arte del risparmio nel riutilizzo di oggetti quotidiani come le mollette dello stendibiancheria…). Edipo, che si è guadagnato la stima e il rispetto dell’intera città, non può accettare che la sua gloria venga distrutta, ma, nella sua ricerca delle cause dirette della peste, teme di scoprire quelle più remote, che, inizialmente tramite le parole di Tiresia, si rivelano legate a un omicidio rimasto impunito: «Sapere è terribile, quando, appunto sapendo, sappiamo che ci farà male». Edipo non vede realmente la consistenza delle sue azioni: è fuggito dalla città in cui è cresciuto, Corinto, per evitare di realizzare un oracolo che gli prediceva i crimini terribili dell’uccisione del padre e dell’unione coniugale con la madre. Ma non si può sfuggire a una simile sentenza. Edipo conduce una lotta con se stesso, ricomponendo, pezzo dopo pezzo, il mosaico della sua esistenza, fino ad arrendersi di fronte a una verità che prende violentemente il posto della menzogna in cui lui è cresciuto. Il culmine di questo processo, il momento dell’arti manthano (“ora capisco”), gli rivela, nel sarcasmo più terribile, l’inutilità della sua fuga da quelli che riteneva essere i suoi genitori, i sovrani di Corinto, e il vero significato dell’uccisione di un uomo, suo padre Laio, re di Tebe, e del matrimonio con una donna, Giocasta, sua madre. La vista di cui finalmente entra in possesso è troppo dura da sopportare: «Ahi! Tutta la luce abbaglia l’esistenza mia di nato storto! Storto lo stato coniugale! Storto quello filiale! Storta tutta la luna nel firmamento mio! Edipo, io, non voglio più per me che luce sia!». Edipo si trascinerà, esule e cieco, per i luoghi della terra più lontani da Tebe, attendendo la morte. La parabola discendente del re ha raggiunto il punto più basso, e il coro ci invita a osservarlo in tutta la sua miseria: «Tebani, popolo, eccolo, Edipo, il primo, il potente, l’invidiato re: eccolo, adesso, cos’è! Non reputate mortali, un mortale felice, mai!». Ci risvegliamo dall’incubo, con una riflessione: tra realtà e allucinazione, c’è un confine estremamente labile.
I tre scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Torino
Edipo Re
tratto dall’Edipo Re di Sofocle
Drammaturgia e Regia: Marco Isidori – Scenario e costumi: Daniela Dal Cin
con Marco Isidori, Lauretta Dal Cin, Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Stefano Re, Valentina Battistone, Virginia Mossi
Produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa
con il sostegno del Sistema Teatro Torino
Torino, Teatro Gobetti, dal 21 febbraio al 4 marzo 2012