L’alternanza scuola-lavoro si può fare: troviamo soluzioni, non scuse

Creato il 09 febbraio 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

Per quanto tempo ancora reggeranno le scuse di chi vuole evitare l'alternanza scuola-lavoro, di fronte alla mole di progetti che stanno nascendo in questi mesi?

Il mese scorso, Repubblica degli Stagisti pubblicava un approfondimento sul tema dell'alternanza scuola-lavoro in cui, dopo aver riconosciuto la valenza formativa di questa particolare modalità di fare scuola, passava in rassegna ogni ostacolo che l'attuazione pratica dell'alternanza può trovare sul suo cammino.

L'alternanza scuola-lavoro piace a tutti in teoria, ma pochi vogliono realmente metterla in pratica. È bella l'idea che le aziende si impegnino in stage formativi quando i ragazzi devono ancora prendere un titolo – stimolo a non abusare dei tirocini una volta che saranno usciti dal "mondo protetto" dell'istruzione scolastica – ed è bello, per le aziende, poter passare in rassegna decine di studenti prima che si diplomino. Poi, però, chi vuole trovare problemi e non soluzioni si scatena.

Negli scorsi anni, progetti di alternanza scuola-lavoro sono stati condotti con successo nonostante una definizione normativa non puntuale, come ad esempio il Progetto IMO di Federmeccanica-Federmanager e più di recente il Progetto Traineeship del MIUR. Ora che è in fase di approvazione la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza e che nei vari territori si procede a definire le modalità di applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro, gli ultimi veri ostacoli burocratici restano l'iscrizione (inspiegabilmente onerosa) al registro nazionale dell'alternanza scuola-lavoro e la mancata attuazione di un raccordo territoriale che distribuisca la presenza in azienda degli studenti lungo tutto l'anno, e non solo in particolari periodi.

I critici dell'alternanza scuola-lavoro pensano però che il vero problema sia la mancanza di aziende interessate. I casi qui, allora, sono due. O si fa finta di non vedere che le aziende hanno già iniziato ad inserire l'alternanza scuola-lavoro nei loro progetti (come raccontavamo la scorsa settimana in questo articolo) oppure ci si aspetta che senza aziende disponibili l'alternanza scuola-lavoro si blocchi. Ma perché dovrebbe? Le scuole potrebbero fare, durante le ore di laboratorio, delle vere e proprie attività di impresa (nella modalità della impresa didattica o, impropriamente, dell'impresa formativa), magari gestendo, senza troppi spostamenti, un e-commerce scolastico (modalità vicina all'impresa formativa simulata), oppure potrebbero coinvolgere le associazioni di volonariato per educare i propri studenti all'interno del terzo settore. Un'ipotesi per niente remota, visto anche il successo di progetti che, riconoscendo le competenze acquisite, stanno dando sempre più valenza lavorativa/formativa anche alle esperienze di volontariato – vedi il Progetto Lever.

Bisogna fare esperienza, purché sia vera e non simulata. Ecco perché la soluzione delle "Case del lavoro", pubblicata da Repubblica degli Stagisti, non convince. Simulare un'attività di imprsa è un esercizio puramente scolastico, valido tanto quanto i problemi matematici con soluzione precostruita. Mettere a contatto gli studenti con il mondo del lavoro non deve diventare un esercizio di stile, ma un impegno da parte delle scuole e un investimento da parte delle aziende. Investimento che, a lungo termine, è proficuo e remunerativo per tutti.

Simone Caroli