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January 28th, 2016
Ho appena finito di riempire il borsone con le poche cose che mi sono rimaste.
Max, Santini e Luigi sono già sul Transit. I due ucraini di Critchenko attendono a bordo del fuoristrada. Dalla finestra vedo il fumo delle sigarette e le canne degli AK47 che sbucano dai finestrini. Non hanno fretta. Obbediscono solo agli ordini.
Non ci sono Gialli nelle immediate vicinanze, complice l'ora (è oramai notte) e la temperatura che è scesa di nuovo a zero gradi. Ma non durerà a lungo. Le giornate vanno già allungandosi e, quando c'è il sole, a volte toccano i dieci gradi. A breve i contagiati sopravvissuti all'inverno usciranno dalle loro buche per riprendere la caccia.
Non sono triste per la partenza. Questo posto non è mai stato casa mia. Era il rifugio di Cristina, Max, Santini, e dei loro amici che da tempo non ci sono più. Ora posso dirvi si trova: nella vecchia biblioteca comunale situata nel bel mezzo di Parco Sempione. La ristrutturazione del 2011 la trasformò in un piccolo edificio a due piani, con tanto di postazioni informatiche e grate anti-vandalismo alle finestre. Cristina decise di farne la sede della sua “redazione post-pandemica” quando a Milano le cose precipitarono del tutto. A dispetto di tutto, si è rivelato un buon rifugio: isolato e poco ambito dai razziatori. Si sa che dei libri non è mai fregato un cazzo a nessuno, in Italia.
Il mio sguardo cerca insistentemente la porta della stanza in cui Manuel ha trascorso i suoi ultimi giorni. Il suo corpo è ancora là dentro, avvolto in un lenzuolo. I tirapiedi di Critchenko ci hanno assicurato che ci avrebbero pensato loro a far sparire il cadavere. Ma è stato Santini a occuparsi dell'esecuzione del filippino. In lui c'erano oramai poche residue tracce di umanità e gli slavi non ci avrebbero mai permesso di portarlo con noi.
È successo sei ore prima che tornassimo qui. Al momento del nostro arrivo Manuel era già morto.
Ma voi volete sapere che è successo dal mio ultimo post a oggi, vero? Ve lo devo. Ecco dunque il riassunto dei giorni appena trascorsi.
La soldataglia del malavitoso ucraino ha rispettato i patti. Sono entrati a Torre B settandue ore dopo aver sguinzagliato i Gialli nei sotterranei del grattacielo. Vestiti con corpetti in kevlar e protezioni di vario tipo, saccheggiate da qualche negozio di articoli sportivi, i razziatori hanno ripulito piano per piano, avanzando in formazione compatta, armati di AK47, pistole semiautomatiche e mitragliette UZI ed M-12.
Infine sono arrivati da noi. Harmke era pronto a vedere cara la pelle, tanto che a fatica lo abbiamo convinto a non sparare a chi avrebbe aperto la porta. Ci siamo trovati davanti due tizi vestiti come catcher di baseball, ma dall'aria annoiata e stanca. «Siete voi i tizi che dice il boss?», ci ha chiesto il più giovane, in un italiano zoppicante.
« Siamo noi », gli ho confermato io, ostentando una sicurezza che non avevo.
Al che ci hanno fatti uscire dal grattacielo, passando per le scale ricoperte di cadaveri di Gialli. Sangue, frattaglie e merda coprivano i muri e i gradini. I bossoli di proiettile erano ovunque. Una volta fuori, altri guerriglieri ci hanno fatto attendere su un camion coperto. A giudicare dallo spiegamento di mezzi, Critchenko doveva aver messo in campo almeno trenta uomini della sua banda.
Mentre gli slavi assortiti (ucraini, serbi, russi, e solo un paio di italiani) ripulivano Torre B, noi abbiamo aspettato, tenuti sotto tiro da una sentinella che doveva avere poco più di diciotto anni. Nessuno osava parlare, chiedere informazioni, avanzare richieste. Nemmeno Harmke. Dopo qualche ora il nostro camion è ripartito, stipato di oggetti e casse rubate dal grattacielo. Altri veicoli sono rimasti sul posto, tranne un vecchio furgone Iveco che ci ha seguiti.
La meta era facile da intuire: il quartiere Trenno-Bonola. La tana di Critchenko.
Quei bastardi si sono sistemati in modo intelligente. Vivono in due palazzi adiacenti, dieci piani d'altezza il primo, otto il secondo. Hanno un cortile interno in comune, cintato e protetto da un'ulteriore anello di filo spinato disposto lungo il perimetro esterno. Su un lato c'è la strada, oltre a essa il Parco di Trenno, che permette una visuale libera per almeno duecento metri netti. Poco più a sud dei palazzi ci sono invece i due campi da calcetto che i razziatori usano come gabbie per i “loro” Gialli. Anche lì ci sono recinzioni in filo spinato, doppie e sorrette da robusti paletti in metallo. I contagiati possono anche lanciarsi contro di esse per tentare la fuga, ma non ottengono nulla, se non delle ferite orribili a vedersi.
I nostri salvatori ci hanno rinchiusi in un seminterrato utilizzato a mo' di lavanderia. Uno di loro, un tizio sulla cinquantina dall'aria triste, ci ha rassicurato sul fatto che nessuno ci avrebbe fatto del male, ma che non potevano ancora lasciarci andare. Venti minuti più tardi, a sorpresa, si sono uniti a noi altri superstiti di Torre B, che fino a quel momento non avevamo nemmeno intravisto.
C'erano Linda Doherty (ma non suo marito Gordon, che avevo visto morire) e Anna Iacolone, l'ex infermiera di mezza età che parlava così poco da non meritare nemmeno una citazione nei miei post precedenti. Le due donne sono le uniche sopravvissute del gruppetto di cui facevamo parte anche noi, quello dei profughi. Entrambe i bambini, la figlia degli Orsato ed Edoardo Menotti, figlio di Cesare, erano stati uccisi e divorati. Anna e Linda hanno fatto in tempo a chiudersi in uno degli appartamenti del settimo piano, mentre gli altri tentavano di respingere i Gialli che dilagavano ovunque.
E poi, insieme a loro due, ci hanno mandato anche i superstiti dell'élite. Il Presidente in primis, insieme a due altri uomini che a malapena avevo intravisto durante la mia permanenza nel grattacielo. Il primo, sui sessanta, capelli bianchissimi e pelle segnata da brutte chiazze marroni, era un certo Pietro. L'altro, vent'anni più giovane, aspetto da avvocato milanese stronzo e danaroso, si è presentato formalmente: Leandro Samarzano. Come se il suo nome dovesse in qualche modo intimidirci. Infine c'era uno degli ex colleghi di Harmke, il sergente Scaloni. Questi era stato pestato talmente tanto che faticava a tenere aperti gli occhi (neri, gonfi) e a respirare.
Cristina si è alzata e ha sputato in faccia al Presidente. Il quale, devo riconoscerglielo, non ha battuto ciglio, limitandosi a pulirsi il volto. «Dunque lei sapeva», ha poi detto alla mia amica.
Lei gli ha spiattellato tutto: dalla scoperta del Protocollo Pelican, agli esperimenti inglesi sul Samas, alle accuse sull'ignobile scambio che l'élite aveva pattuito col Governo Cameron. Il Presidente non ha nemmeno tentato di negare. Alla fine, sospirando, ha risposto: «Si trattava solo di sopravvivenza. O noi o voi. Torre B non ci avrebbe sostentato ancora a lungo. Forse un anno, non di più. Dovevamo trovare un'alternativa.»
Al che, con un sorriso maligno stampato in viso, Cristina ha spiegato al bastardo come hanno fatto i Gialli a penetrare nel grattacielo e a combinare quel macello. Mentre lei parlava, Pietro e Samarzano imprecavano sottovoce. Nei loro occhi leggevo la voglia di metterle le mani addosso, ma la presenza mia, quella di Valenziano e di Harmke li ha dissuasi dal tentare inutili vendette.
Alla fine il Presidente, per quanto sconvolto, ha mostrato a sua volta un sorriso amaro. «Bene, ragazza mia. Il suo piano per punirci è costato la vita alle persone che voleva salvare. A questo punto mi chiedo se lei è tanto diversa da me.»
Poi nessuno ha più parlato per ore. Quindi due razziatori sono venuti a portarci da mangiare e a dividerci. Hanno preso i tizi dell'élite e li hanno spostati altrove. Poco dopo hanno trascinato via anche Scaloni, che da allora non ho più visto.
Il giorno dopo, quando Harmke iniziava davvero a spazientirsi, lo slavo dalla faccia triste è tornato a trovarci. «Il signor Critchenko vuole parlare con voi», ha detto, indicando me e Cristina.
Non potendo fare altro lo abbiamo seguito fin su all'ultimo piano del palazzo che si affaccia sul parco di Trenno. Il leader dei razziatori vive in un bilocale arredato con insospettabile gusto. Non sfarzoso, bensì ordinario, accogliente. Il genere di appartamento della middle class pre-pandemica. Con lui c'era solo lo slavo triste, che ho poi scoperto essere il suo braccio destro. Si chiama Rajiner, ed è serbo.
Critchenko ha più o meno la sua età. Di media statura, fisico tarchiato, capelli rasati quasi a zero, non è un uomo che spicca per particolari caratteristiche fisiche, tranne gli occhi, azzurri e vivaci. Ci ha fatto sedere in soggiorno, dove una donna corpulenta e silenziosa sbucata dalla cucina ci ha servito tè e biscotti. Ci credereste? Tè e biscotti. Mentre spiluccavamo quella specie di merenda, il boss ha sorriso come un affabile padrone di casa. «Vi piace qui?»
Visto che Cristina non fiatava ho risposto io. «Bello. Vi siete sistemati bene.» Una cosa stupida da dire a un assassino, ma non mi è venuto in mente altro. L'ucraino è sembrato soddisfatto.
«Sapete cosa facevo io prima della fine del mondo?»
Per quanto fosse surreale quella conversazione, dovevo dargli corda. «No davvero.»
«Il professore di storia. Questo nel mio paese, a Kiev. Quindici anni fa. Quando sono arrivato in Italia non ho fatto altro che lavorare come meccanico, in nero. Non bastava per vivere e per mandare i soldi a casa, a mia sorella Helga. Allora ho iniziato a fare affari brutti. Capisci no? Questo per spiegarti che gli uomini sono sempre vittime delle circostanze.»
Un bandito filosofo. Mancava alla mia storia.
«Quello che fai coi Gialli dei tuoi campi è una cosa schifosa», ha esordito Cristina, in tono gelido.
Critchenko le ha riso in faccia. «Ma i tizi che mi hai chiesto di ammazzare erano anche peggio, no?Il casino che è successo non è colpa mia. Io ho rispettato i patti.»
In un certo senso era vero.
È assurdo dirlo, ma da lì in poi abbiamo avuto quella che posso definire una civile conversazione con un uomo che si è macchiato di chissà quanti delitti nell'ambito dei suoi “affari brutti”. L'ucraino ci ha rivelato che aveva interrogato il Presidente e i suoi due amici. Così è venuto a sapere molte cose sull'élite e sui suoi piani di tratta degli schiavi. Cristina non ha esitato a colmare le lacune dell'uomo, parlandogli del Samas e del Protocollo Pelican. In cambio Critchenko ci ha spiegato come si erano evolute le cose dopo l'invasione dei contagiati a Torre B. Il Presidente stesso glielo aveva raccontato.
Pochi minuti dopo la nostra ritirata i mostri sono dilagati sia al settimo piano, sia tra i nostri compagni (ma questo lo sapevamo già dai racconti di Anna e Linda), che all'undicesimo.
Le guardie dell'élite sono uscite sul pianerottolo, temendo una rivolta dei quarantenati, non sospettando un outbreak di Gialli. Quello è stato il loro primo errore. Il secondo è stato quello di rimanere comunque a combattere sulle scale. A dispetto della posizione sfavorevole alcuni contagiati hanno raggiunto i soldati dell'élite, uccidendone un paio e ferendone un altro. A quel punto il capitano Casiraghi avrebbe dovuto dare l'ordine di ritirarsi e chiudersi al sicuro nell'undicesimo piano. In tal modo, viste le pesanti porte, i mostri non sarebbero mai passati. Invece il capitano ha deciso di continuare a combattere. Forse per non abbandonare i suoi uomini feriti. Forse per un esagerato senso di possesso nei confronti del grattacielo. Sta di fatto che la sua strategia si è rivelata fallimentare. I Gialli sono dilagati, forti del numero e dell'adrenalina.
Nel mentre i SAS avevano già deciso di abortire la missione. Se fossero rimasti a combattere avrebbero probabilmente respinto i contagiati, ma quello non era il loro compito. Hanno caricato sugli elicotteri il professor Boile e il signor M. con tanto di consorte, abbandonando tutti gli altri, a dispetto delle richieste d'aiuto e delle promesse di ricompensa. Perfino il Presidente *** è stato ritenuto inutile e abbandonato come un cane. Poi i commando se ne sono andati.
A quel punto il sergente Scaloni ha radunato quei pochi disgraziati che ancora poteva salvare e si è chiuso con loro al quattordicesimo piano, mentre i Gialli già dilagavano negli appartamenti esclusivi dell'élite. Il piccolo e opulento regno di quei ricconi era crollato di punto in bianco e in modo assurdo. Oltre al Presidente, al vecchio Pietro (che di cognome fa Murtas, e che a quanto pare è un ex magnate dell'industria alimentare), a Samarzano e al sergente, tra i sopravvissuti c'era anche un'atra delle guardie, che però era rimasta ferita da un contagiato nel caos della fuga. Scaloni non ha esitato ad abbatterla.
Gli uomini di Critchenko hanno trovato anche una donna dell'élite chiusa in uno dei bagni dell'undicesimo piano. È sopravvissuta per tre giorni bevendo l'acqua del cesso e mangiando dentifricio. L'ucraino l'aveva già spedita in quella che lui chiamava “area delle signore”, ma che in realtà è una sorta di seminterrato in cui le donne si occupano di lavori prettamente femminili.
Cristina gli ha poi chiesto che avrebbe fatto del Presidente e dei suoi due tirapiedi. Al che Critchenko si è fatto serio e ha sentenziato: «Faranno da addetti ai Campi dei Gialli. Vi assicuro che è un incarico così terribile che rimpiangeranno di non essere morti come i loro compari.»
Ma l'ucraino aveva già pensato anche a noi. Ci ha detto che non possiamo rimanere in città, perché la città è sua. I rastrellamenti quartiere per quartiere che porta avanti da mesi gli servono per eliminare le bande rivali. I Latinos arroccati nella vecchia Coin in corso Buenos Aires. I bikers che si erano rifugiati a Metanopoli. La piccola comunità di filippini insediatasi a piazzale Udine. Poca gente, ma con cui Critchenko non vuole dividere Milano. Gli altri sparuti gruppetti di sopravvissuti “normali”, massacrati durante quelle operazioni, sono solo vittime collaterali. Milanesi che non hanno abbandonato la città durante l'evacuazione. Uomini e donne senza nessuna colpa particolare, se non quella di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.
«Ma con voi ho fatto un patto», ha riconosciuto infine l'ucraino. «Vi lascio una settimana per andarvene. Non vi farò alcun male. Se invece rimarrete, beh, vi metterò sulla mia lista nera.»
Con le armi e l'equipaggiamento recuperato a Torre B la banda di Critchenko è più forte di prima. Non c'è alcun modo di sfidarlo, né intendiamo provarci. Il bastardo ci ha detto che ci avrebbe ospitato lì per qualche giorno. Almeno finché Max e Santini, ancora nascosti nel vecchio rifugio di Parco Sempione, non avessero lasciato entrare un paio dei suoi tirapiedi per siglare anche col loro l'accordo di autoesilio.
Cristina ha tenuto duro per un po'. Non voleva rivelare nulla all'ucraino, anche se era probabile che lui sapesse già tutto, compresa l'ubicazione dei nostri amici. Per dirla tutta, Critchenko ci stava trattando fin troppo bene. Il suo vice, Rajiner, giocava al “poliziotto buono”. Ci ha fatto capire che il patto proposto dal suo capo era l'unica vera possibilità di uscire da quella situazione da vivi e da uomini liberi.
A me Rajiner sta simpatico, che vi devo dire. Non m'importa se interpreta solo un ruolo, o se è un assassino. Dopo la stronzata combinata a Torre B, anch'io sono un assassino. Persone come lui sono le uniche che non ci giudicherebbero mai. Il vice di Critchenko mi ha detto di essere un ex paramilitare serbo. In Italia invece rubava auto e organizzava furti negli appartamenti. Mi ha spiegato un po' i programmi del suo boss, che possono essere riassunti in un punto unico: dominare sulla città morta. Non gli interessa altro. La loro banda conta otto donne, nove, considerando la poveraccia dell'élite appena acquisita. Sei di esse sono “in età da figli”. Critchenko vuole eliminare ogni possibile minaccia al suo regno e poi ripopolarlo. Pian piano, con calma. «I Gialli prima o poi moriranno.» Anche Rajiner ne è convinto. «La prossima estate sarà forse l'ultima prova, la più dura. Se sopravviveremo, potremo pensare al futuro. E il futuro non prevede elementi che potrebbero causarci problemi. Prima del Lee-Chang i reietti eravamo noi. Ora siete voi.» Senza acrimonia: è un dato di fatto.
Ci hanno dato tempo per riflettere. Valenziano non si fidava (anzi, non si fida tuttora) degli slavi, mentre Harmke taceva. Anna e Linda ci rivolgevano a stento la parola. Ci odiano per quanto accaduto. Non fanno più parte del nostro gruppo, è evidente.
Rajiner ci ha fatto anche parlare via radio con Max e Santini. Il primo condivideva la stessa linea di Cristina, più per non darle torto che non per convinzione personale. Santini invece la pensava come me: bisognava dare a Critchenko ciò che voleva, ossia andarsene da Milano. L'unica scelta logica da fare.
Alla fine è stato l'ucraino stesso a convincere gli scettici. Due giorni fa io e Cristina l'abbiamo incontrato in cortile, mentre la mia amica fumava. Eravamo liberi di gironzolare, ma una guardia armata ci sorvegliava sempre. Era strano starsene lì, all'aperto. Spesso e volentieri qualche Giallo veniva al perimetro, aggrappandosi al filo spinato nel tentativo di entrare. A volte arrivavano addirittura a gruppetti. Ma non avevano modo di entrare, tanto che i membri della banda si limitavano a ignorarli.
Insomma, Critchenko ci è venuto incontro sorridendo. «Ho la soluzione per voi», ci ha detto. Lo abbiamo lasciato parlare. «So che il vostro problema è la meta. Dove andare? L'Italia è un merdaio. La scelta sarebbe tra quelle zone spopolate, dove i Gialli fanno ciò che vogliono, oppure le enclavi comandate dai piccoli Hitler locali.»
«Come lei», ha risposto Cristina.
Per un attimo l'ucraino si è raggelato. Credevo che le sparasse, invece ha ripreso a parlare, in tono meno amichevole. «Questo paese è morto. L'Europa stessa è morta. Le notizie di quegli esperimenti inglesi sul Samas tolgono ulteriori carte dal mazzo, giusto? E poi credo che, un giorno o l'altro, risbucheranno anche i cinesi o i russi. Ma non vi piacerà vedere cosa sono diventati nel mentre, per sopravvivere.»
«Dove ci consiglia di andare?», gli ho chiesto io.
«In Irlanda.» Poi ci ha spiegato. «La crisi economica, intendo la prima, quella del 2010/2011, ha spopolato il paese. Quando la pandemia ha raggiunto il suo picco gli irlandesi, se si eccettuano Dublino e Cork, erano già emigrati altrove. Nelle campagne la diffusione del morbo è stata contenuta. Gli inglesi non hanno nemmeno provato a metterci il naso. Avevano già il loro bel da fare col trasloco del governo e tutto il resto. »
«L'Irlanda», ho ripetuto io, come uno zombie.
«Già. Una sorta di Eden per survivalisti, se vi va l'idea di ricominciare dal medioevo. Difficile entrarci, ma relativamente al sicuro. Io posso farvi arrivare lì. Nel mezzo del parco di Trenno c'è un aereo Cessna 208. Degli idioti, tempo fa, hanno tentato un atterraggio di fortuna perché avevano finito il carburante. L'aereo è tutto ciò che rimane di loro. L'ho lasciato lì perché è ingombrante e difficile da trainare. Quando la temperatura è molto bassa lo si può raggiungere senza rischiare troppo. Il mio meccanico l'ha ripulito e rifornito. L'abbiamo già usato un paio di volte. Rajiner stesso sa pilotarlo. Se volete vi posso far portare in Irlanda.»
«A un prezzo», intuisco.
Critchenko ha annuito. «Le donne. Rimarranno qui con me.»
Si riferiva ad Anna Iacolone e Linda Doherty. Non era propriamente una richiesta, bensì un diktat. Poteva benissimo prendersele e spararci, altro che passaggio in aereo. Probabilmente ci ha davvero preso in simpatia, tanto che si è perfino premurato di spiegarci la natura della sua offerta. «Quelle due vi odiano per ciò che avete fatto. Non vi perdoneranno mai, né le potete considerare parte del vostro gruppo. Lasciatele a me, le tratterò con dignità.»
«Per fare figli e per ramazzare il tuo appartamento», ha replicato Cristina, più con amarezza che con odio. L'ucraino si è stretto nelle spalle. Quelli erano dettagli che a noi non dovevano importare. Però la sua affermazione era sensata: Anna e Linda ci odiavano. Prima che la mia amica potesse dire qualcosa, ho dato il mio assenso. «Va bene. Ma dovrai portare tutti noi. Compresi i due colleghi di Cristina, Valenziano e Harmke. Più un'altra persona.» Mi stavo quasi dimenticando di Luigi, il che è sintomo di quanto siano aleatori i rapporti umani nel nuovo mondo. Quasi peggio che in quello vecchio.
«Portatevi tutti, io non li voglio tra i piedi da sfamare.»
E così, su due piedi, siamo giunti a un accordo. Uno scambio, o forse una tratta di carne umana, proprio come quella che imputavamo all'élite. Ma è meglio non pensarci troppo, sennò si rischia di impazzire. Critchenko ci ha poi chiesto di radunare il nostro gruppo e di trasferirci tutti qui, in attesa del momento migliore per partire. Che, a dar retta a uno dei pochi satelliti meteorologi che funzionano ancora in automatico, dovrebbe essere fra due giorni, quando all'alba la temperatura scenderà a -1°.
Eccoci dunque qui a fare le valige. Ci trasferiamo al fortilizio dell'ucraino in attesa della partenza per l'Irlanda. Max non è affatto contento, né dell'accordo che abbiamo stretto col capo dei predoni di Trenno, né di trasferirsi altrove. Ma sa di non avere scelta. Così come non ha avuto scelta Santini, quando si è incaricato di ammazzare Manuel, prima che ci pensassero i tirapiedi di Critchenko.
Credo sia una questione di responsabilità, e di decenza.
In realtà la parola “Irlanda” mi ha fatto venire in mente da subito uno di voi blogger, che si trova da quelle parti. Forse hanno ragione coloro che sostengono che il caso e le coincidenze non esistono. Di tutti i posti al mondo, Critchenko si è offerto di spedirci proprio laddove c'è forse la possibilità di riunirmi con un vecchio amico. Qualcuno che non ha nulla a che fare con tutto lo schifo delle ultime settimane. Un nuovo inizio. Lo devo contattare. Verificare se c'è la possibilità di unire le nostre forze. Non vedo altre soluzioni per sopravvivere in una terra straniera.
Ma ora basta. È davvero ora di andarsene. Se ci risentiremo, sarà probabilmente dalla terra di Oscar Wilde.
Ricordo che il mio SB è strettamente legato a quello di Cristina Riccione. Per scoprire alcuni retroscena delle vicende narrate in questi capitoli, date un'occhiata anche al suo blog.
Survival blog: elenco dei capitoli precedenti e degli altri contenuti.