Esistono, appartengono al genere umano, e sono femmine. Lo hanno sperimentato sulla loro pelle gli sventurati che hanno subito le loro atrocità nei campi di concentramento, e che hanno visto nei loro occhi di donna la stessa malvagità e lo stesso sadismo dei loro colleghi di sesso maschile. Mi riferisco alle aguzzine delle SS, le guardiane dei campi di concentramento, spesso addette alle sezioni femminili di prigionia, che hanno sviscerato quanto di più feroce è insito nella natura umana.
É difficile credere che le donne, possano essere capaci di compiere atti volti ad infliggere indicibili sofferenze sui corpi di altre donne.
Questo riferimento ad eseguire gli ordini e ricorrere ai mezzi più cruenti per tenere a bada i detenuti e le detenute nei campi di concentramento, mi riporta alla filosofa Hanna Harendt, che nel suo concetto di “banalità del male” circa i torturatori maschi nazisti, ha espresso come giustificassero il loro atti con una semplice ammissione di zelo al proprio dovere.
Un processo di totale disumanizzazione, perpetrata con devastante consapevolezza, nei confronti dei deportati che passavano dal ruolo di persone a bestie senza identità e senza storia.
É sconcertante ciò che riferirono nel corso dei processi queste aguzzine, cito Ilse Koch, guardiana al campo di Buchenwald, moglie del comandante SS karl Koch. Soprannominata la “volpe di Buchenwald” o “cagna di Buchewald” ha assassinato circa 5.000 prigionieri e la sua tortura preferita consisteva nell’ordinare lo scorticamento di pelle umana tatuata con cui fare paralumi per la sua collezione. Al primo processo celebrato il 10 luglio 1947, ebbe la sfacciataggine di affermare: “Non ho mai preso in considerazione la possibilità di essere processata, perché non ho ma commesso nessuno dei crimini di cui sono stata accusata”. La giustizia trionfò e venne condannata all’ergastolo e i lavori forzati. Era una donna molto bella, dai lunghi capelli rossi e dotata di fascino della seduzione, non le mancava nulla. Eppure frustava personalmente fino alla morte i prigionieri senza un briciolo di pietà
Unica consolazione: morì sulla forca.
Molte sono purtroppo queste donne, mediocri nella vita, che si trasformavano in belve sanguinarie. Dalle loro biografie si evince l’ordinarietà delle loro vite, lavori umili o semplicemente mogli di qualcuno nelle SS. Nessuna ambizione, nessuna cultura, entrate a far parte di un ingranaggio sanguinario con il miraggio della buona paga che le SS promettevano. Terribili nella loro normalità, devastanti in merito alla metamorfosi che avveniva in loro una volta ottenuta la carica di responsabili e sorveglianti dei campi di detenzione e quindi di quelle povere vite.
Personalmente non credo che le condizioni di potere che veniva loro conferito sia stato l’elemento della crudeltà che hanno dimostrato, ritengo piuttosto che il sadismo, la vigliacca cattiveria scorressero fin dalla nascita nel loro sangue, e che la consapevolezza di totale impunità di ogni loro atto abbia avuto la meglio.
Belve di nascita, demoni oscuri nelle viscere. E purtroppo, femmine.
Silvia Lorusso alias Penelope