L’Amanita#3 – Del Romanticismo: conversazione digitale a due voci e due tempi
Creato il 27 gennaio 2014 da Loredana Gasparri
Avvertenze per la lettura: questo è un post a quattro mani, una specie di conversazione nata privata e poi condivisa nel presente ambito digitale, riguardante una riflessione che va avanti da diverso tempo. Un paio di settimane fa Marzia mi ha inviato la sua definizione di “romantico” e “romanticismo”, sull’onda delle sue letture più recenti. Avevo deciso di pubblicarla così com’era, ma poi mi è venuto di risponderle, unendo anche le mie opinioni sul termine. Naturalmente, essendo una conversazione condivisa digitalmente, ci attendiamo commenti e opinioni a profusione. ;-)
Romantico!?Romantico o non romantico…No, non immaginarmi in versione amletica col povero Yorick in mano – o meglio, quello che resta del povero Yorick! Però la domanda ogni tanto torna: cosa cavolo vuol dire “romantico”?Abbiamo condiviso le pagine melense della Woodiwiss, sghignazzato come matte su certe scene della Small e commentato parecchi Harmony&C. Poi tu hai avuto un processo di saturazione e hai evitato il genere. Io sono diventata un po’ schizzinosa e selettiva, ma leggo ancora anche gli Harmony. E la domanda resta: alla fine cos’è “romantico”?Il sentimentalismo all’acqua di rose grondante melassa, magari farcito di scene pseudo erotiche non è romantico. Almeno non lo è per me. Trovo perfetto il vocabolo inglese “romance” per tutta la <<mielosaggine>> che invade il mercato; gli elementi fantasy, pseudo-angelici, pseudo-vampireschi, horror, steam punk ecc. entrano indistintamente nel calderone di melassa & sdolcinatezza. Nei calderoni trovo anche miscugli di mitologie, ibridi di vampiri e divinità olimpiche o angeli presi dall’ebraismo incrociati con teorie orientali. Mi mancano i miti aztechi, ma credo sia una mia ignoranza personale. Una lacuna che non intendo colmare; almeno, non di mia sponte. Effetti collaterali della globalizzazione? Be’ tutto questo non è romantico. Requiescant in pace Wordsworth, Novalis, Brentano e tutto lo “Sturm und drang”. Tutto quell’impeto e fuoco, tempesta e vento di novità mi causano sonnolenza. Cos’è romantico?Ci penso da anni. Alla fine, ecco la mia risposta: definisco “romantico” un libro che mi risucchia nelle sue pagine, mi avvince nella trama e mi ci trattiene anche quando ho smesso di leggere. Quale che sia il genere. Sono riuscita ad entrare ne “Il Signore degli Anelli”, dopo trent’anni di tentativi di leggerlo, quando mi sono detta “è più di un poema epico, va’ oltre la struttura poetica e goditi la storia”. Ho vissuto mesi fra quelle pagine. Cambio genere: “I pilastri della terra” e “Mondo senza fine”. Sto ancora cantando “al rogo al rogo” ogni volta che penso a certi ecclesiastici. “Mucchio d’ossa” di Stephen King mi ha tenuto incollata a quelle pagine, nonostante le apnee ed i tremori (oddio-oddio adesso quella cosa salta fuori e mi fagocita) ed “Il Miglio Verde” mi fa piangere solo a ricordare certi brani. Per me è “romantico” un libro che mi trascina calzata e vestita nel suo mondo. Ti giro la domanda, Loredana (tu al liceo scegliesti tedesco, ne sai più di me di “Sturm und drang”; io finsi di studiare Lazarillo, il Calderòn e la sua “La vida es sueňo” o i mulini a vento del don Quijote…) in definitiva: Cos’è romantico?
Di primo acchito, risponderei: “non lo so”. Non è tanto una professione di ignoranza, la mia, quanto un crollare di spalle di fronte ad una definizione che sento parecchio difficile da esprimere. Almeno con le mie parole e il mio sentire, s’intende. Basta digitare la parola romantico in Google, ed escono risultati illimitati. Basta aprire un’antologia di letture liceali, un saggio sulla letteratura ottocentesca in Europa e dintorni, per inciampare in una montagna enorme chiamata “Romanticismo”. Se dovessi dare io una definizione di romantico e romanticismo, mi sento piuttosto nei guai. Posso iniziare rifiutando il contorno di occhi sognanti, espressioni languide, cuoricini sparsi nell’aria, visi e corpi esangui, tipici di una certa letteratura ottocentesca che un sottogenere molto scaltro di marketing delle emozioni ha ripescato per San Valentino. Rimando al mittente anche la sensibilità estrema di certi personaggi figli di grandissimi autori come Goethe e Foscolo, che li faceva agire contro se stessi, procurando loro sofferenze in sovrappiù. Edoardo (Le affinità elettive) mi faceva prudere le mani dalla voglia di schiaffeggiarlo per riscuoterlo dal suo comportamento ossessivo e puerile, mentre Faust sapeva attirarsi le mie simpatie con quel suo desiderio di conoscenza onnipotente, mal incanalato, che poi lo porta alla rovina. Non prendo nemmeno più in considerazione le varie espressioni “non so vivere senza di te”, “sei tutta la mia vita”, ecc., che ritrovavo nei romanzi d’amore melensi della mia gioventù sconsiderata (almeno dal punto di vista di queste letture!). Sono arrivata a considerarle espressioni di una dipendenza fonte di sofferenze sadomasochistiche, e per di più, di matrice irreale. Bene. E ora che sono andata per esclusione, cos’è romantico per me? Dopo diverse elucubrazioni, posso dire che per me, il romanticismo si trova in natura. In certi posti tinti di colori non traducibili dai pittori, difficilmente catturabili dai fotografi. In certe espressioni intente e indecifrabili di persone immerse nei loro pensieri e nei loro sentimenti. Sono momenti in cui l’anima si ferma e ascolta in profondità e in silenzio quella perfezione di forme, colori, rumori e sensazioni. Non c’è bisogno di altro: solo silenzio e immersione.
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