sottofondo: Nino Rota & Carmine Coppola – The Immigrant
Qualche settimana prima di imbarcarmi vidi per la prima volta il mare. Mi stava chiamando.
Sentivo una voce levarsi dalle onde, ero immobilizzato dinnanzi a cotanto splendore.
Mio padre mi disse che la nave che avevamo davanti agli occhi ci avrebbe condotti verso un futuro migliore. Allora non capivo cosa volesse dirmi, ma sapevo di non poter obbiettare.
Durante la traversata incontrai molti volti nuovi. Nei loro occhi, come nei miei, regnava la speranza, la voglia di vivere, la volontà di ricominciare.
Dando l’addio al mio paese avevo pianto. Mi resi subito conto che tutte le persone attorno a me avevano provato le mie stesse e identiche emozioni. C’era nostalgia nelle loro voci, ma non più di tanta.
Eravamo tutti uniti, e tutti con uno scopo in comune: una nuova vita.
Quel giorno ero sul ponte di prua, giocando con i miei coetanei. Erano ormai diverse ore che la nebbia avvolgeva la nostra nave.
Stavo per rilanciare il pallone verso i miei compagni di gioco, quando all’orizzonte cominciarono a delinearsi i lineamenti di una donna. In quel momento realizzai che il viaggio era giunto al termine.
“L’America”, gridò un uomo a un paio di metri da me.
In men che non si dica adulti e bambini si sporsero dalle ringhiere applaudendo, cantando, ridendo e salutando quell’enorme donna di metallo.
Quel giorno ero ancora un bambino, ma riuscii a intuire dal sorriso dei miei genitori che tutto quel viaggio l’avevano fatto per me. Per non farmi crescere come erano cresciuti loro, per darmi qualche possibilità in più, per tentare di farmi diventare qualcuno contribuendo alla costruzione di un mondo nuovo.
Oggi sono cresciuto, e so che quel mondo nuovo è stata solo un’illusione. Tuttavia ringrazio profondamente i miei genitori per averci provato, e per avermi dato la possibilità di provare a cambiare le cose.
Grazie.
E.