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L’America Latina di fronte alla Corte dell’Aja: il caso di Bolivia e Cile

Creato il 08 ottobre 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Elisabetta Stomeo

Pochi mesi fa la Oxford Analytica, famosa società di consulenza e di analisi strategica degli accadimenti mondiali, ha pubblicato un’infografica molto interessante riguardante i casi sottoposti al vaglio della Corte Internazionale di Giustizia dai differenti Stati latinoamericani, ponendo l’accento proprio sulla loro sempre più costante presenza. Negli ultimi anni, infatti, i giudici de L’Aja si sono ritrovati oberati dalla risoluzione di conflitti latinoamericani: dal 2001 ad oggi sono state ben tredici le controversie su cui si è pronunciato il Tribunale, di cui otto riguardanti – nello specifico – liti territoriali o marittime.

La Corte Internazionale di Giustizia è l’organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, chiamato principalmente a dirimere le dispute tra gli Stati membri dell’ONU che hanno accettato la sua giurisdizione. Ultimamente l’impressione diffusa tra gli attori del diritto, esperti politologi e non solo, è quella che tale Corte abbia acquisito il ruolo di giudice supremo nelle questioni legate fondamentalmente alle contese confinarie sul territorio latinoamericano. I motivi di tale (consapevole o meno) tendenza sono vari e possiedono differenti matrici.

Dispute in America Latina sottoposte alla Corte Internazionale di Giustizia - Fonte: Oxford Analytica
Dispute in America Latina sottoposte alla Corte Internazionale di Giustizia – Fonte: Oxford Analytica

L’intervento della Corte Internazionale di Giustizia sull’interpretazione o applicazione dei vari strumenti giurisprudenziali internazionali ha una grande trascendenza per i Paesi latinoamericani data la competenza consultiva che la Corte Interamericana dei Diritti Umani possiede rispetto all’interpretazione degli stessi strumenti: il prestigio della Corte de L’Aja si palesa nel fatto che le sue massime giurisprudenziali sono state citate reiteratamente nella giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani al fine di supportare la determinazione dei criteri sostenuti e sanciti, oltre ad essere previsto come tribunale ad hoc per la risoluzione di determinati conflitti [1].

Dal punto di vista prettamente politico ed economico, bisogna tenere presente che i processi di globalizzazione (soprattutto quelli economici) si sono notevolmente rinforzati con il tempo, erodendo con veemenza la precedente autorevolezza politica degli Stati ed introducendo significativi cambi all’interno della tradizionale ripartizione dei territori e dei confini, ridando, così, attenzione ed importanza alla geografia politica, dopo varie decadi di discredito e di abbandono. Nella maggior parte dei Paesi, poi, l’apertura e l’instaurazione di processi di decentralizzazione regionale a livello politico ed amministrativo hanno messo un punto alla tendenza accentratrice, implicando in alcuni casi la delimitazione spaziale di nuove entità territoriali e la rivendicazione di antiche contese storiche.

Un esempio concreto a tal proposito è la querelle tra Perù e Cile per la delimitazione marittima dei rispettivi territori sovrani, iniziata nel 2008 e conclusasi con la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 27 gennaio 2014. La disputa aveva ad oggetto la sovranità marittima di un’area di 37.900 Km2 nell’Oceano Pacifico che la Repubblica del Perù, dopo vari decenni di dissidi, aveva deciso di reclamare alla Repubblica del Cile.

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Molto simile a tale questione è stato l’oggetto dell’ultimo caso in ordine di tempo, riguardante una contesa secolare tra Bolivia e Cile circa la possibilità del primo Paese di ottenere uno sbocco sull’Oceano Pacifico. La domanda, presentata dalla Bolivia il 24 aprile del 2013 è stata integrata il 15 aprile del 2014 da una memoria contenente tutta la documentazione storico-giuridica a supporto della propria posizione e depositata dal Presidente Evo Morales in persona (fatto altamente significativo nonché inedito, dato che, normalmente, tale incombenza viene assegnata a commissioni designate ad hoc).

La Bolivia perse il suo accesso all’Oceano cinquant’anni dopo che il Libertador Simón Bolivar instaurò la prima Repubblica: tra il 1872 ed il 1883 si disputò la feroce Guerra del Pacifico (conosciuta anche come “guerra del salnitro”) che vide come protagonisti Cile, Bolivia e Perù (questi ultimi due per un brevissimo periodo furono confederati pur di rafforzare la potenza statale andina). La Repubblica bolivariana ne uscì sconfitta ed impoverita dei ricchi depositi di guano, salnitro, argento, oltre che di 120.000 Km2 di regione a partire dal deserto di Atacama fino alla regione ex-peruviana di Tarapacá e di quasi quattrocento Km di costa (da Antofagasta alla provincia di Arica), che confluirono in buona parte nel territorio nazionale cileno.

La Bolivia, tuttavia, non si è mai arresa alla perdita dell’importante sbocco che avrebbe di certo agevolato notevolmente i propri interessi commerciali sul Pacifico, considerandola, tra l’altro, una vera e propria “ferita” storica dato che per molti decenni si sono susseguiti accordi, trattati internazionali, armistizi riconosciuti e smentiti poco dopo proprio per sedare la disputa tra Bolivia e Cile.

A ciò c’è da aggiungere, senza dubbio, la netta e sostanziale differenza tra i due Stati dal punto di vista storico, giuridico ed economico. Le società degli Stati latinoamericani presentano delle realtà multiformi e a tratti paradossali: in alcuni Paesi lo Stato centrale risulta essere molto più importante dei gruppi sociali (come per esempio il Cile, il Brasile e la Colombia); in altri (di cui fanno parte le repubbliche bolivariane) lo Stato è sempre apparso storicamente debole; in altri ancora lo Stato è tradizionalmente autoritario o cesarista (è il caso del Perù o del Guatemala).

Considerando, perciò, il divario esistente tra Bolivia e Cile, rafforzato anche dalle puntuali e destabilizzanti incursioni nella vicenda del Perù, terzo incomodo storico della querelle, è evidente come il Presidente Evo Morales abbia ritenuto necessario far risaltare ed enfatizzare il più possibile con la sua presenza fisica la domanda presentata alla Corte di Giustizia Internazionale.

Alla richiesta boliviana di dar inizio a negoziazioni per poter risolvere il suo problema di mediterraneidad [2], Michelle Bachelet ha ribattuto con le centenarie prescrizioni contenute nel Tratado de Paz y Amistad del 1904 (con il quale furono stabiliti i confini esistenti tra i due Stati contendenti) oltre a sottolineare la mancanza di competenza della Corte di Giustizia nel caso di specie.

In qualsiasi modo venga risolto il litigio pendente tra Bolivia e Cile, è interessante notare come presenti delle similitudini con la maggior parte delle domande presentate dai Paesi latinoamericani negli ultimi dieci anni: il Tribunale supremo delle Nazioni Unite, infatti, è stato adito fondamentalmente per la risoluzione di conflitti bilaterali, in genere per questioni di confini territoriali o marittimi. Tali conclusioni sono state presentate anche dal Presidente della Corte, il magistrato slovacco Peter Tomka, il quale in una riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ha sottolineato che i “clienti” più frequenti della Corte dal 1945 sono stati proprio gli Stati latinoamericani, per una comunanza di interessi e di principi – a suo parere – tra il Patto di Bogotá del 1948 e gli ideali della Carta delle Nazioni Unite.

In realtà, numerosi politologi analizzano l’aumento delle richieste di intervento della Corte Internazionale da parte degli Stati latinoamericani in un’ottica di sfiducia nei confronti dei tribunali locali e della diplomazia tradizionale, inadatti a risolvere dispute secolari molto spesso sui territori ancestrali, affiancata a delle differenze spaziali e sociali esistenti all’interno delle regioni attuali che, per la loro intrinseca contingenza, una volta istituzionalizzate, producono nuove differenze o tendono a rafforzare le preesistenti.

* Elisabetta Stomeo è PhD candidate in Scienze Giuridiche e Politiche (Università Pablo de Olavide di Siviglia)

[1] Un esempio su tutti, il Protocollo di Firma Facoltativa alla Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24 aprile 1963 concernente il regolamento obbligatorio delle controversie (Testo)

[2] Il concetto di mediterraneidad boliviano è assimilabile a quello di “mediterraneità” della vicina Svizzera: la Bolivia è uno dei due unici paesi sudamericani (assieme al Paraguay) a non possedere accessi sovrani su porti marittimi, condizione che obbliga tali paesi ad importare ed esportare prodotti unicamente attraverso le frontiere con i paesi vicini, utilizzando quasi sempre trasporti terrestri che sono intrinsecamente più cari di quelli marittimi. Per maggiori approfondimenti a tal proposito: http://www.cepal.org/transporte/noticias/bolfall/5/12475/FAL203.htm


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