L’America Latina e l’opportunità del multipolarismo

Creato il 25 aprile 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

[Editoriale al numero 4, vol. I ::clicca qui per il sommario::]

 
Il multipolarismo costituisce per i paesi emergenti una occasione per aumentare i propri gradi di libertà nell’agone internazionale. Le classi dirigenti di importanti paesi quali il Brasile, la Russia, l’India e la Cina hanno compreso che l’opzione dell’integrazione a vari livelli, da quello economico a quello più propriamente politico, è da preferirsi ai fini dei singoli specifici interessi nazionali. Le nuove politiche estere di questi paesi, raggruppati nel cluster geoeconomico denominato BRICS, incidono sempre maggiormente nella strutturazione del nuovo scenario multipolare che si va vieppiù delineando nei termini di grandi aggregati continentali. I tentativi di integrazione su base continentale procedono in particolare nella massa eurasiatica con un certo successo; un esempio è rappresentato certamente dalla recente Unione eurasiatica tra Bielorussia, Russia e Kazakhstan.. La possibilità che anche le nazioni dell’America centro meridionale diventino protagoniste del nuovo ordine mondiale sembra aver risvegliato l’interesse delle più importanti leadership latinoamericane per implementare il processo dell’unificazione del proprio subcontinente.

 
Il fenomeno dell’accelerazione dei processi di aggregazione su scala regionale o continentale, siano essi di natura politica o di natura economica, in vari quadranti dello scacchiere mondiale, costituisce la “risposta” geopolitica (e geoeconomica) alla frammentazione del cosiddetto sistema unipolare, ora palesemente in atto. Tale fenomeno, verosimilmente, incrementerà, nel prossimo futuro, il livello di tensione tra i sostenitori del vecchio sistema unipolare occidentocentrico e quei paesi le cui tendenze multipolariste influenzano sempre di più le loro decisioni in materia di politica ed economia internazionali. In relazione a ciò è da considerare una sorta di contro misura unipolarista volta a rallentare e condizionare il processo multipolarista in atto, la proposta avanzata recentemente, l’11 febbraio 2013, dallo United States–European High Level Working Group on Jobs and Growth1, e ribadita ufficialmente dal presidente Obama il giorno successivo, di realizzare un partenariato speciale transatlantico, il Transatlantic Trade and Investment Partnership2.

Per quanto concerne la massa eurasiatica, le aggregazioni su scala continentale aumentano i loro gradi di coesione interna, pur se tra difficoltà dovute principalmente a quattro elementi:

  1. la crisi economica e finanziaria globale;
  2. la naturalmente ostativa politica estera statunitense a tali processi “continentalistici”;
  3. alcune priorità “nazionali” che ancora mal si coniugano coi processi di integrazione;
  4. la resistenza di alcuni organismi internazionali tra cui l’ONU, la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

 
In America centro meridionale registriamo, invece, una nuova fase dei processi di integrazione. La ragione di ciò che potremmo definire un revival della tendenza “continentalistica” latinoamericana è molto probabilmente dovuta ad un insieme di fattori interni, tra i quali, sono da annoverarsi principalmente:

  1. una maggiore stabilità dell’intera area rispetto al recente passato;
  2. una incrementata sintonia tra i vari capi di Stato delle nazioni sudamericane in materia di politica continentale;
  3. una maggiore attenzione delle classi politiche e imprenditoriali latinoamericane verso alcune nazione eurasiatiche (Russia, Cina, Iran, India).

 
La relativa stabilità regionale è dovuta alle nuove leadership latinoamericane, generalmente di ispirazione democratico-progressista, che riescono a equilibrare, con maggiore efficacia delle precedenti, istanze contrastanti – popolari, moderniste, conservatrici – avanzate dai rispettivi ceti nazionali. Tali contrasti, in passato, “minando” la coesione sociale ed in alcuni casi perfino nazionale di alcuni paesi sudamericani, rendevano vano ogni tentativo di politica estera nazionale tesa all’integrazione continentale. Questa maggiore stabilità dipende, oltre che da una relativamente più omogenea cultura politica, generalmente, come più sopra riportato, democratico-progressista delle dirigenze latinoamericane, anche dalle politiche economiche adottate da queste ultime nei rispettivi paesi, le quali, pur privilegiando i ceti economici maggiormente dinamici, si dimostrano, tuttavia, più sensibili ad una più equa gestione della ricchezza nazionale e comunque più inclini al consolidamento dello stato sociale. Si tratta di una dinamica generale e di lungo periodo, su cui non dovrebbe influire negativamente la scomparsa prematura del presidente venezuelano Hugo Chavez3.

In relazione alla maggiore sintonia tra i vari capi di Stato dell’area sudamericana in materia di politica continentale, osserviamo che questa è testimoniata dai recenti numerosi incontri tra i capi di Stato latinoamericani tesi ad articolare l’unità regionale con approcci diversificati, su base economica, regionale e continentale. Gli organismi quali Mercosur, Comunità andina, Celac sembrano aver trovato nell’Unasur un primo contenitore “politico” delle loro particolari istanze4, peraltro ben appropriato, a nostro avviso, all’attuale processo di transizione uni-multipolare.

Tra le date significative della ripresa delle tendenze “continentaliste” latinoamericane va certamente annoverata quella del 10 marzo 2009, quando si riunisce, nell’ambito delle iniziative dell’Unasur, il Consiglio Sudamericano di Difesa. Secondo il parere di Barrios, “questo organismo può consentire al Sudamerica di sostituire alla narrazione esterna proprie concezioni strategiche”. “Tra esse – prosegue Barrios – spicca la coscienza che per essere protagonisti nel nuovo contesto internazionale bisogna essere uno Stato continentale e industriale, e che dunque l’integrazione strategica, che non cancelli le singole statualità, è nesessaria al Sudamerica”5.

Questa nuova fase delle politiche tese all’integrazione dell’America Latina sono state possibili anche grazie ad un fattore esterno e sostanzialmente geopolitico; vale a dire il relativo “disimpegno” statunitense nell’area. Gli USA, infatti, sempre più proiettati verso l’ Asia-Pacific region, regione ritenuta da più parti strategica per Washington (l’America’s strategic pivot del XXI secolo), negli ultimi anni hanno, in un certo qual modo, allentato la presa su quello che hanno sempre definito come il proprio “cortile di casa”.

Il risveglio “continentalista” delle nazioni sudamericane, infine, sembra trovare significativo vigore grazie alla politica di attenzione rivolta dai principali governi sudamericani (e dai ceti economico-produttivi più dinamici dei rispettivi paesi) verso alcune nazioni della massa continentale eurasiatica, alcune delle quali perseguono analoghe iniziative integrative. È realistico ipotizzare che – sulla base della positiva esperienza del Brasile nell’ambito dei BRICS, dell’ASPA e dell’IBAS – tali relazioni, per ora generalmente bilaterali, saranno confermate ed ulteriormente sviluppate anche nell’ambito delle aggregazioni supernazionali dagli altri paesi sudamericani.


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