Così scriveva Cicerone nel “De amicitia”. Nato ad Arpino nel 106 a.c. e morto a Formia nel 43 a.c., esponente di una ricca famiglia equestre è stato un avvocato, uno scrittore e un uomo politico.
Nel 44 a.c. scrive il ”De amicitia” un dialogo di carattere filosofico, ambientato nel 129 a.c. qualche giorno dopo la morte di Scipione l’Emiliano, dedicato a Tito Pomponio Attico.
Gli interlocutori fanno parte del “circolo degli Scipioni” e sono Lelio, Scevola e Fannio. Cicerone antepone al testo un’introduzione di carattere storico in cui si rivolge ad Attico esponendo le ragioni dell’opera.
Il dialogo comincia con l’invito di Scevola e Fannio all’amico Lelio di parlare dell’amicizia. Lelio decide di articolare il discorso in tre parti fondamentali: nobiltà, natura e norme per l’amicizia. Alla base deve esserci la fides, cioè la fiducia e l’onestà nei confronti dell’altro. L’amicizia, quindi, diventa un dono meraviglioso che solo i boni viri, le persone buone, riescono a portare avanti nel tempo con costanza e virtù. La vera amicizia è sincera, è franca, priva di falsità e scevra di opportunismo.
Con quest’opera, scritta poco dopo l’omicidio di Cesare, Cicerone esprime un’idea nuova basata su un’etica e non sull’opportunismo politico. Per i Romani, infatti, l’amicizia consisteva nell’intrecciare legami utilitaristici per scopi politici; Cicerone, invece, si ribella a questa mentalità e fa un elogio della vera amicizia.